MIGNANO MONTELUNGO – Il trenta agosto del 1868 Michela De Cesare, tradita dal suo stesso fratello e da un contadino del posto, fu massacrata a colpi di fucile. Prima però venne violentata dai bersaglieri piedimontesi. Quelle stesse penne colorate che oggi corrono nelle nostre strade, mostrando un volto diverso.
Michelina aveva tentato si nascondersi nella cavità di u n grosso albero. Sulla zona di Caspoli, quella notte, imperversava un violento temporale. Lei, capo partigiana della zona, combatteva da anni contro l’invasione dei Piemontesi. Il suo sindaco – Don Francesco Salvatore – pochi mesi prima aveva “certificato” che lei era fuori legge, un bandito senza scrupoli che “scorrazzava con lorde brigantesche”. Un certificato che serviva all’ordine costituito per avviare la caccia spietata alla donna e al suo compagno. Michelina Di Cesare aveva 27 anni, era bella, coraggiosa, a tratti spietata. Fu a capo di una vera e propria banda di insorti. La sua grinta in battaglia era alla pari della sua bellezza. Nel 1868 fu catturata dai bersaglieri, fu barbaramente violentata prima di essere uccisa e il suo corpo nudo fu esposto e fotografato dai suoi aguzzini. La città di Mignano Montelungo, oggi, continua a mortificare quella donna. Preferisce festeggiare i suoi carnefici e non la partigiana Michela.

MORTE AI SAVOIA!
W O’ RRE! W IL REGNO DELLE SUE SICILIE!
E sputate a terra quando passa la fanfara e tenete ben in vista i sacri vessilli di FRANCESCO II.