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Roma / Marzano Appio – Emigrazione, il racconto di Lillo e l’amarezza per la lontanza da Campagnola

Roma/Marzano Appio (di Nicolina Moretta) – Un ragazzo quattordicenne di nome Benito che lascia il proprio paesino, Campagnola, per andare a lavorare fuori e che sa affrontare tutti i disagi e le avversità che la vita gli frappone, si forma una famiglia, ha dei figli; pensiamo possa rappresentare bene tutto il dramma dell’emigrazione, la nostalgia dei luoghi, il desiderio di tornarvi. Benito e la sua storia fanno riflettere. Ora non più ragazzo ma uomo cinquantenne, in questa missiva inviata a Paesenews ha voluto esprimere tutto il suo attaccamento al paese nativo: Campagnola, che per lui non rappresenta solo il luogo geografico della sua infanzia e dei suoi affetti, ma anche il luogo dell’anima.
“Ho lasciato il mio paese a quattordici anni. Lasciare i genitori, i fratelli, le sorelle, i parenti, ma la cosa più brutta è quella di vivere nella città, dove la mancanza del proprio paese, della nostra natura, della nostra tranquillità, quando si viveva dove tutti si conoscevano, si incontravano tutti i giorni, tutte le sere nello stesso bar o pizzeria e tra una battuta e una risata si aspettava l’ora di andare a letto; per poi svegliarsi la mattina e sentire il canto di un uccello, quella brezza fresca, quel bel profumo di Primavera, Estate, Autunno, Inverno, che ti faceva venire voglia subito di alzarti e fare un bel respiro e come tutti i giorni fare le stesse cose, ma sempre emozionanti e sempre più belle: guardare la natura che si risveglia; le facce delle persone anziane che saluti, chiunque siano, sedute fuori alle loro abitazioni, che ti guardano con uno sguardo speciale, con tanto amore. E adesso viviamo da anni in città corrotte, con l’aria sporca, sporche di rifiuti, di acqua; di persone che ti vedono in difficoltà e scappano. Mentre nei nostri paesi se ti vedono in difficoltà per qualche cosa te li vedi tutti attorno. Qua viviamo nel caos, nello schiamazzo delle automobili, metrò, treni, suoni e burocrazie false. Adesso quando poso la testa sul cuscino per addormentarmi ho bisogno di tappi, ma non di quelli di farmacia, ma di cerume duro; ma io ho scoperto un bel sistema: chiudo gli occhi e torno indietro con il pensiero al mio paese: è come se fossi lì, con tutti i miei paesani, ma proprio tutti! Anche se non avevamo nulla, ma si era felici. E ora penso a quando andrò in pensione e mi chiedo: dove vado al mio paese? Nooo! Per carità! Il mio paese non mi merita. Ma non la gente, per chi governa; perché non avete saputo tenere stretti i vostri paesani che per ora popolano quasi il mondo. Nel senso che chi è dovuto andare all’estero o in altre città italiane, dove soffrono la mancanza e la solitudine delle cose che ci regalavano i nostri vecchi e i nostri luoghi. Chi comanda non sa nemmeno cosa significa stare lontani dalle cose che si amano di più della vita: la nostra terra che ora vediamo solo nei sogni”.      

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