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VAIRANO PATENORA – Taverna della Catena, il comune schiaffeggiato al Tar: pagherà anche 8mila euro di spese ai Tizzano

VAIRANO PATENORA – Taverna della Catena, il comune di Vairano Patenora, guidato dal sindaco Bartolomeo Cantelmo, soccombe – ancora – davanti ai giudici del Tar. L’ente vairanese pagherà ai ricorrenti (la famiglia Tizzano) 8.000 euro per le spese legali sostenute per il giudizio. Il comune perde su tutta la linea: viene annullata l’ordinanza di demolizione del 2010, viene annullata il “colpo di teatro” del 2014 quando in consiglio comunale – fra squilli di trombe e rulli di tamburi -veniva “acquisito” l’immobile Taverna della Catena a patrimonio comunale. Peccato che nell’atto del consiglio, l’infallibile tecnico comunale, aveva indicato una particella catastale diversa. Sciocchezze, semplici sciocchezze, che sembrano accadere, purtroppo, nel posto giusto, al momento giusto. Intanto la telenovela taverna della Catena, va avanti, ininterrottamente, da quasi mezzo secolo. Una domanda sorge spontanea (in diversi cittadini vairanesi): perchè non si usa per taverna della Catena lo stesso sistema utilizzato per il borgo? Si sarebbero risparmiati anni di inutile e costoso contenzioso.

Ecco la sentenza

 

N. 04334/2015 REG.PROV.COLL.

N. 06364/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6364 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giuseppe Tizzano, Erminia Tizzano, Maria Teresa Tizzano, Gemma Tizzano, Elena Tizzano, Mario Tizzano, Amedeo Tizzano, Sergio Tizzano, Claudio Tizzano e, in qualità di eredi di Corrado Tizzano, Monica Tizzano, Luciana Riboli, Alessandro Tizzano e Stefano Tizzano, rappresentati e difesi dagli avv.ti Concetta Monaco, Raffaele Monaco e Fabio Orefice, con domicilio eletto presso il loro studio in Napoli, via Provinciale, n. 132;

contro

Comune di Vairano Patenora, in persona del Sindaco legale, rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Gaetano Di Nocera, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Ausiello in Napoli, Via M. Schipa, n. 59;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ora Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) – Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio per le Provincie di Caserta e Benevento, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, n. 11;
Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Alberto Armenante, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale in Napoli, Via S. Lucia, n. 81;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

I) con il ricorso introduttivo:

1) dell’ordinanza di demolizione n. 46 del 6 luglio 2010; 2) di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, collegato, connesso e/o consequenziale, comunque lesivo degli interessi dei ricorrenti, ivi compresa, per quanto di ragione: a) la nota della Regione Campania, Area Generale di Coordinamento, Governo del Territorio, Tutela Beni Paesaggistici, Ambientali e Culturali, Settore Urbanistica, n. 491259/2010, mai comunicata ai ricorrenti; b) la comunicazione ex art. 7 L. n. 241/90 e s.m.i., prot. 8857 del 12 ottobre 2010, con la quale il Comune avvisa i sigg.ri Tizzano che, anche in virtù degli artt. 6 e 113 del D.Lgs. n. 42/2004, intende indire un concorso per idee finalizzato alla raccolta di proposte preliminari volte alla valorizzazione, al restauro, alla eventuale acquisizione al patrimonio comunale ed alla conseguente pubblica fruizione dell’edificio denominato “Taverna Catena”;

II) con il primo ricorso per motivi aggiunti depositato il 16 novembre 2012:

– dell’accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 46 del 6 luglio 2010 di cui alla nota prot. n. 632/PM del 26 giugno 2012 del Comando Polizia Municipale del Comune di Vairano Patenora;

III) con il secondo ricorso per motivi aggiunti depositato il 14 aprile 2014:

– della nota prot. n. 263 del 9 gennaio 2014 recante comunicazione di avvenuta acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale;

– della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Vairano Patenora n. 58 del 29 novembre 2013;

IV) con il terzo ricorso per motivi aggiunti depositato in data 8 ottobre 2014:

– della nota n. 4844 del 29 maggio 2014 recante comunicazione di avvenuta acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale;

– della delibera del Consiglio Comunale del Comune di Vairano Patenora n. 18 del 20 maggio 2014.

V) con il quarto ricorso per motivi aggiunti depositato in data 2 aprile 2015:

– del provvedimento del Comune di Vairano Patenora prot. n. 11797 del 30 dicembre 2014, successivamente notificato, recante la comunicazione di avvenuto rigetto “di tutte le istanze di sanatoria/condono prodotte dagli eredi Tizzano” relative all’immobile denominato “Taverna Catena”;

– nonché per l’accertamento del diritto dei ricorrenti ad ottenere il provvedimento di condono edilizio relativo alle opere realizzate in Vairano Patenora, (CE) alla via degli Abruzzi n. 20, oggetto delle domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985, nn. Prot. 5818/1986, 5819/1986, 5820/1986, 5822/1986, 5824/1986, 5825/1986, 5826/1986, 5827/1986, 5828/1986, 5829/1986 e il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa del comportamento colpevolmente omissivo e dilatorio posto in essere dal Comune di Vairano Patenora;

e per la condanna in forma specifica ex art. 30, comma 2, c.p.a. delle Amministrazioni intimate all’adozione del relativo provvedimento di sanatoria degli abusi edilizi realizzati Vairano Patenora, (CE) alla via degli Abruzzi n. 20 e oggetto delle suddette domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985, nonché, ed in subordine, ove occorra, al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vairano Patenora, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio per le Provincie di Caserta e Benevento e della Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 luglio 2015 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso, ritualmente notificato il 28 ottobre 2010 e depositato in data 25 novembre 2010, Giuseppe Tizzano, Erminia Tizzano, Maria Teresa Tizzano, Gemma Tizzano, Elena Tizzano, Mario Tizzano, Amedeo Tizzano, Sergio Tizzano, Claudio Tizzano e Corrado Tizzano, comproprietari dell’immobile sito nel Comune di Vairano Patenora e denominato “Taverna Catena”, immobile dichiarato di interesse particolarmente importante con D.M. del 4 aprile 1967, ex art. 2 della L. n. 1089/1939, in quanto ritenuto elemento dominante della scena dello storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 46 del 6 luglio 2010 con la quale il suddetto Comune ha disposto la demolizione del secondo piano del suddetto immobile; hanno chiesto altresì l’annullamento, per quanto di ragione, della nota della Regione Campania, Area Generale di Coordinamento, Governo del Territorio, Tutela Beni Paesaggistici, Ambientali e Culturali, Settore Urbanistica, n. 491259/2010, mai comunicata ad essi ricorrenti, con la quale si diffidava l’ente comunale e della comunicazione ex art. 7 L. n. 241/90 e s.m.i., prot. 8857 del 12 ottobre 2010, con la quale il Comune li avvisava che, anche in virtù degli artt. 6 e 113 del D.Lgs. n. 42/2004, intendeva indire un concorso per idee finalizzato alla raccolta di proposte preliminari volte alla valorizzazione, al restauro, alla eventuale acquisizione al patrimonio comunale ed alla conseguente pubblica fruizione dell’edificio denominato “Taverna Catena”.

A sostegno del gravame i ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi di censura: 1. violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 23, 24, 25, 28, 29, 32 del d.lgs. n. 490 del 1999, artt. 10, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 28 del d.lgs. n. 42 del 2004, art. 33, comma 3, del d.p.r. n. 380 del 2001, artt. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985, l. n. 1089 del 1939, violazione della circolare del ministero lavori pubblici 30 luglio 1985 n. 3357/25, artt. 3, 4, 4.2, 9.3., incompetenza, difetto di potere e violazione del giusto procedimento.

Parte ricorrente pone in evidenza che dopo la sentenza n. 19204 del 12 ottobre 2005, con la quale la Sezione IV di questo Tribunale ha annullato la nota prot. n. 21103 del 7 dicembre 1987 della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per le Province di Caserta e Benevento, con la quale è stato espresso parere favorevole alla richiesta di sanatoria presentata per lavori abusivi riguardanti l’immobile denominato “Taverna Catena”, quest’ultima aveva rilasciato altri pareri favorevoli nel 2001 e nel 2003. Inoltre il provvedimento impugnato sarebbe viziato per incompetenza in quanto dalla lettura congiunta della suddetta normativa preposta alla tutela dei beni di interesse storico (come nel caso di specie) si evincerebbe la competenza in capo all’Amministrazione preposta al vincolo per l’attività di sorveglianza e sanzione di eventuali abusi.

2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 23, 24, 25, 28, 29, 32 del d.lgs. n. 490 del 1999, artt. 10, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 28 del d.lgs. n. 42 del 2004, del d.p.r. n. 380 del 2001, degli artt. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985, l. n. 1089 del 1939, l. n. 241 del 1990 e s.m.i. violazione della circolare del ministero lavori pubblici 30 luglio 1985 n. 3357/25, artt. 3, 4, 4.2, 9.3., eccesso di potere, violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 489/1993 resa dalla Sez. V del TAR Napoli, violazione del giusto procedimento, travisamento, straripamento, falsità dei presupposti in fatto ed in diritto, apoditticità, carenza di motivazione, contraddittorietà, abnormità, illogicità manifesta. Parte ricorrente lamenta in sintesi la contraddittorietà dell’ordinanza di demolizione con i pareri favorevoli della Soprintendenza, espressi nel 2001 e 2003 sulla base di un nuovo progetto presentato da essi ricorrenti su richiesta della stessa Soprintendenza, con quelli successivi alla suddetta sentenza n. 19204/2005, nonché con i precedenti pareri favorevoli resi dalla Commissione edilizia dello stesso Comune di Vairano Patenora, senza fornire un’adeguata e congrua motivazione.

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 23, 24, 25, 28, 29, 32 del d.lgs. n. 490 del 1999, artt. 10, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 28 del d.lgs. n. 42 del 2004, del d.p.r. n. 380 del 2001, artt. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985, l. n. 1089 del 1939, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., eccesso di potere. violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 489/1993 resa dalla Sez. V del TAR Napoli, violazione della circolare del ministero lavori pubblici 30.07.1985 n. 3357/25, artt. 3, 4, 4.2, 9.3, violazione del giusto procedimento, travisamento, erronea determinazione dei presupposti in fatto ed in diritto, apoditticità, irrazionalità. Ad avviso di parte ricorrente il provvedimento impugnato si fonderebbe su una ricostruzione dei presupposti in fatto assolutamente carente e falsata. In particolare sarebbe abnorme il richiamo alla sentenza n. 19204/2005 che riguarderebbe unicamente il parere della Soprintendenza reso nel 1987, tenuto conto dei successivi pareri favorevoli resi nel 2001 2003 e 2009, adottati a seguito della presentazione di un nuovo progetto regolarmente prodotto da essi ricorrenti su richiesta della stessa Soprintendenza; inoltre il Comune farebbe riferimento al parere della Soprintendenza del 2003 con il quale venivano assentiti i lavori del secondo piano oggetto del provvedimento di demolizione, a condizione che fosse demolito il terzo piano abusivo, quest’ultimo non oggetto del provvedimento di demolizione impugnato con l’odierno gravame; tali pareri peraltro non risulterebbero essere stati impugnati dal Comune.

Parte ricorrente inoltre sostiene che nella fattispecie oggetto di gravame avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 38 della l. n. 47/1985 che prevede la sospensione del procedimento sanzionatorio avendo essi ricorrenti presentato istanza di condono, di cui una vagliata dal TAR con la sentenza numero 489/1993, passata in giudicato, entro il termine perentorio di cui all’articolo 31, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell’articolo 35.

4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 23, 24, 25, 28, 29, 32, 91, 92, 94, 95 del d.lgs. n. 490 del 1999, artt. 10, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 28, 95, 96, 98 del d.lgs. n. 42 del 2004, del d.p.r. n. 380 del 2001, degli artt. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985, l. n. 1089 del 1939, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., eccesso di potere. violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 489/1993 resa dalla Sezione V del TAR Napoli, violazione della circolare del ministero lavori pubblici 30.07.1985 n. 3357/25 artt. 3, 4, 4.2, 9.3. violazione art. 42 della Costituzione, violazione del giusto procedimento, travisamento, falsità dei presupposti in fatto ed in diritto, apoditticità, sviamento.

Parte ricorrente deduce il vizio di sviamento di potere in quanto, a suo avviso, lo scopo ultimo del Comune sarebbe quello di acquisire l’immobile al patrimonio comunale. Dopo la sentenza n. 19204/2005, che ha annullato il parere della Soprintendenza reso nel 1987, parte resistente avrebbe dovuto tener conto dei successivi pareri espressi dall’autorità preposta alla tutela della vincolo imposto sull’immobile o comunque provvedere a richiederne uno nuovo al fine di decidere sulle domande di condono dei ricorrenti, mentre avrebbe invece provveduto direttamente ad adottare il provvedimento di demolizione.

5. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 23, 24, 25, 28, 29, 32, 91, 92, 94, 95 del d.lgs. n. 490 del 1999, artt. 10, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 28, 95, 96, 98 del d.lgs. n. 42 del 2004, d.p.r. n. 380 del 2001, artt. 31, 32, 35 e 38 della l. n. 47 del 1985, l. n. 1089 del 1939, l. n. 241 del 1990 e s.m.i. eccesso di potere. violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 489/1993 resa dalla Sezione V del TAR Napoli, violazione della circolare del ministero lavori pubblici 30.07.1985 n. 3357/25 artt. 3, 4, 4.2, 9.3. violazione del giusto procedimento, travisamento, erronea determinazione dei presupposti in fatto ed in diritto, abnormità in quanto ad avviso di parte ricorrente si sarebbe formato il silenzio assenso ex art. 35 della legge n. 47 del 1985 sull’istanza di condono; ciò in quanto essi ricorrenti in data 3 luglio 2003, a seguito di espressa richiesta del Comune avrebbero provveduto al pagamento del conguaglio dell’oblazione e degli oneri, conguaglio giudicato congruo dallo stesso ente locale; invero, ad avviso di essi ricorrenti, anche a voler ammettere che il termine di 24 mesi decorrerebbe non dal parere favorevole della Soprintendenza del 2001, ma da quello espresso nel 2003 (l’ultimo reso a seguito di istruttoria e che recherebbe prescrizioni dettate dalla Sovrintendenza ai ricorrenti, mentre la nota del 2009 sarebbe meramente confermativa delle precedenti), nel dicembre 2005 si sarebbe comunque formato il silenzio assenso sull’istanza di sanatoria da essi presentata.

6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, difetto assoluto di motivazione, in quanto il provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna valutazione dell’interesse dei privati, tenuto conto che si tratterebbe di opere risalenti nel tempo (quasi 40 anni).

7. Violazione dell’art. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990 e art. 24 della Costituzione, eccesso di potere, violazione del giusto procedimento, carenza di istruttoria per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Vairano Patenora deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone, pertanto, il rigetto.

Si sono costituite altresì a resistere in giudizio la Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio per le Provincie di Caserta e Benevento, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, e la Regione Campania chiedendo il rigetto del gravame.

Alla camera di consiglio del 10 gennaio 2011 e all’udienza pubblica dell’11 ottobre 2011 il ricorso è stato cancellato dal ruolo.

Con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato in data 20 ottobre 2012 e depositato il 16 novembre 2012, i sig.ri Giuseppe Tizzano, Erminia Tizzano, Maria Teresa Tizzano, Gemma Tizzano, Elena Tizzano, Mario Tizzano, Amedeo Tizzano, Sergio Tizzano, Claudio Tizzano e, in qualità di eredi di Corrado Tizzano, Monica Tizzano, Luciana Riboli, Alessandro Tizzano e Stefano Tizzano, hanno chiesto l’annullamento dell’accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 46 del 6 luglio 2010, di cui alla nota prot. n. 632/PM del 26 giugno 2012 del Comando Polizia Municipale del Comune di Vairano Patenora. Avverso questo successivo provvedimento i ricorrenti hanno dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili; in particolare lamentano che il verbale impugnato non conterrebbe una dettagliata indicazione del cespite da acquisire; a seguito dell’avvio di trattative volte alla soluzione bonaria della vicenda, avviate di concerto tra le parti, il Comune avrebbe dato corso ad un nuovo iter procedimentale e, pertanto, qualunque nuovo atto del Comune negativo rispetto alla nuova prospettazione formulata dei ricorrenti avrebbe dovuto essere preceduto da un espresso diniego delle istanze da essi proposte e da una comunicazione di avvio del nuovo procedimento sanzionatorio; sarebbe stata omessa l’indicazione dell’autorità e del termine per ricorrere; oltre ai suddetti vizi di illegittimà propria, i ricorrenti hanno riproposto in via derivata le censure già dedotte con il ricorso introduttivo, essendo l’atto di accertamento impugnato consequenziale all’ordine di demolizione.

Con ordinanza istruttoria n. 1899 del 9 aprile 2013 questa Sezione ha ritenuto necessario, al fine del decidere, acquisire, a cura del Comune di Vairano Patenora, “i seguenti atti: 1) relazione istruttoria del Comune di Vairano Patenora in ordine alla pratica di condono edilizio concernente l’immobile oggetto di causa con allegazione della documentazione procedimentale; 2) informazioni dettagliate e documentate in ordine alle determinazioni assunte successivamente all’adozione del provvedimento di diniego del 28 aprile 1989, all’annullamento giurisdizionale del T.A.R. disposto con sentenza n. 489/1993, ai pareri successivamente resi dalla Soprintendenza per le Province di Caserta e Benevento prot. n. 27577 del 18 dicembre 2001 e prot. n. 24670 del 1 dicembre 2003 ed ai pareri resi dalla commissione edilizia comunale”; con la medesima ordinanza è stata disposta la fissazione dell’udienza pubblica del 4 dicembre 2013 per la discussione del ricorso nel merito.

In data 20 giugno 2013 il Comune resistente, in riscontro alla suddetta ordinanza, ha depositato la nota prot. n. 5419 del 14 giugno 2013 con allegata documentazione.

All’udienza pubblica del 4 dicembre 2013 la causa è stata rinviata a data da destinarsi.

Con altro ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato il 15 marzo 2014 e depositato il 14 aprile 2014 i sig.ri Giuseppe Tizzano, Erminia Tizzano, Maria Teresa Tizzano, Gemma Tizzano, Elena Tizzano, Mario Tizzano, Amedeo Tizzano, Sergio Tizzano, Claudio Tizzano e, in qualità di eredi di Corrado Tizzano, Monica Tizzano, Luciana Riboli, Alessandro Tizzano e Stefano Tizzano, hanno chiesto l’annullamento della nota prot. n. 263 del 9 gennaio 2014, recante comunicazione di avvenuta acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale e della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Vairano Patenora n. 58 del 29 novembre 2013.

Avverso tali atti i ricorrenti hanno dedotto vizi di illegittimà propria ed hanno riproposto in via derivata le censure già dedotte con i precedenti ricorsi proposti avverso gli atti presupposti, integralmente riportati. Quanto i vizi di legittimità propria i ricorrenti hanno lamentato che l’atto acquisitivo sarebbe sproporzionato ed illegittimo, in quanto essi avevano ottemperato alle prescrizioni della Soprintendenza, provvedendo in particolare: alla demolizione del terzo piano abusivo, alla trasformazione del terrazzo di copertura del secondo piano in tetto spiovente a doppia falda con travi in legno massiccio e corpi anticati; inoltre non sarebbe possibile procedere alla demolizione, circostanza questa della quale il Comune non avrebbe tenuto conto; infine mancherebbe la descrizione precisa della superficie occupata e dell’area di sedime da acquisire.

In data 8 aprile 2014, con delibera consiliare n. 14, il Comune di Vairano Patenora ha provveduto ad annullare in autotutela la delibera n. 58 del 29 novembre 2013 di acquisizione al patrimonio comunale in ragione dell’errata individuazione catastale dell’immobile acquisito, delibera impugnata dei ricorrenti con ricorso per motivi aggiunti depositato il 14 aprile 2013; con successiva delibera di C.C. n. 18 del 20 maggio 2014 ha, quindi, provveduto a disporre nuovamente l’acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale.

All’udienza pubblica del 23 luglio 2014 la causa è stata rinviata all’udienza pubblica dell’8 gennaio 2015 per consentire alla parte ricorrente la proposizione di motivi aggiunti.

I medesimi ricorrenti con l’ulteriore ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato in data 29 settembre 2014 e depositato in data 8 ottobre 2014, hanno chiesto, pertanto, l’annullamento della nota n. 4844 del 29 maggio 2014, recante comunicazione di avvenuta acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale e della suddetta delibera del Consiglio Comunale del Comune di Vairano Patenora n. 18 del 20 maggio 2014..

A sostegno del gravame parte ricorrente ha lamentato la mancata applicazione dell’art. 38 della L. 47/1985, in quanto illegittimamente il Comune avrebbe adottato i provvedimenti sanzionatori in pendenza di un’espressa domanda di definizione degli illeciti edilizi corredata della richiesta di parere all’autorità preposta alla tutela del vincolo e riconosciuta in via di definizione dallo stesso Comune; i ricorrenti hanno altresì riproposto le medesime censure dedotte, sia per illegittimità propria che derivata, con il ricorso per motivi aggiunti depositato il 14 aprile 2014, censure sopra richiamate e alle quali si rinvia.

Alla camera di consiglio del 5 novembre 2014, con ordinanza n. 1833/2014, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare ed è stata confermata la fissazione dell’udienza pubblica dell’8 gennaio 2015; all’udienza dell’8 gennaio 2015 è stato disposto il rinvio per consentire alla parte ricorrente la proposizione di motivi aggiunti.

Con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato in data 6 marzo 2015 e depositato il 2 aprile 2015, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del provvedimento del Comune di Vairano Patenora prot. n. 11797 del 30 dicembre 2014, successivamente notificato, recante la comunicazione di avvenuto rigetto “di tutte le istanze di sanatoria/condono prodotte dagli eredi Tizzano” relative all’immobile denominato “Taverna Catena”; hanno chiesto altresì l’accertamento del loro diritto ad ottenere il provvedimento di condono edilizio relativo alle opere realizzate in Vairano Patenora, (CE) alla via degli Abruzzi n. 20, oggetto delle domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985, nn. Prot. 5818/1986, 5819/1986, 5820/1986, 5822/1986, 5824/1986, 5825/1986, 5826/1986, 5827/1986, 5828/1986, 5829/1986, il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa del comportamento colpevolmente omissivo e dilatorio posto in essere dal Comune di Vairano Patenora e la condanna in forma specifica ex art. 30, comma 2, c.p.a. delle Amministrazioni resistenti all’adozione del relativo provvedimento di sanatoria degli abusi edilizi realizzati in Vairano Patenora, (CE) alla via degli Abruzzi n. 20 e oggetto delle suddette domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985, nonché, ed in subordine, ove occorrente, al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge.

A sostegno del gravame, con otto motivi di ricorso, i ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure: violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10 bis della l. n. 241 del 1990, violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985 e della l. n. 724 del 1994, violazione dell’art. 97 della Costituzione, eccesso di potere, sviamento, contraddittorietà, illogicità manifesta, violazione del giusto procedimento, inesistenza ed erronea determinazione dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto di istruttoria, apoditticità della motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria e per indeterminatezza, carenza assoluta di motivazione, violazione del principio di legittimo affidamento del cittadino, straripamento, sviamento; violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 23, 24, 25, 28, 29, 32 del d.lgs. n. 490 del 1999, artt. 10, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 28 del d.lgs. n. 42 del 2004, art. 33, comma 3, del d.p.r. n. 380 del 2001, artt. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985, l. n. 1089 del 1939, violazione della circolare del ministero lavori pubblici 30 luglio 1985 n. 3357/25, artt. 3, 4, 4.2, 9.3., incompetenza, difetto di potere, violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 489/1993 della Sez. V del TAR Napoli, abnormità, illogicità manifesta, irrazionalità, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990.

Parte ricorrente lamenta, in sintesi: il mancato invio del preavviso di rigetto; che con la sentenza n. 489/93 la Sezione V di questo adito Tribunale avrebbe chiarito, definitivamente ed inequivocabilmente, che la competenza ad esprimere il giudizio di compatibilità del manufatto con la tutela di cui alla L. 1089/1939 (poi D.Lgs. 490/99 e ora D.Lgs. 42/2004) spetterebbe solo e soltanto alla Sovrintendenza e non al Comune; la contraddittorietà del comportamento del Comune che, senza un’adeguata e congrua motivazione, avrebbe disposto il diniego di condono relativo a un’opera più volte assentita dalla Soprintendenza, organo preposto alla tutela del vincolo imposto sull’immobile per cui è causa, oltre che dagli stessi organi comunali competenti e l’irrazionalità del provvedimento; l’illegittimità del provvedimento impugnato per sviamento di potere in quanto lo scopo ultimo del Comune sarebbe quello di acquisire l’immobile al patrimonio comunale; ad avviso di parte ricorrente si sarebbe formato il silenzio assenso ex art. 35 della legge n. 47 del 1985 sull’istanza di condono; ciò in quanto essi ricorrenti in data 3 luglio 2003, a seguito di espressa richiesta del Comune avrebbero provveduto al pagamento del conguaglio dell’oblazione e degli oneri, conguaglio giudicato congruo dallo stesso ente locale; invero, ad avviso di essi ricorrenti, anche a voler ammettere che il termine di 24 mesi decorrerebbe non dal parere favorevole della Soprintendenza del 2001, ma da quello espresso nel 2003, l’ultimo che sarebbe stato reso a seguito di istruttoria e che recherebbe prescrizioni dettate dalla Sovrintendenza ai ricorrenti, mentre la nota del 2009 sarebbe meramente confermativa delle precedenti, nel dicembre 2005 si sarebbe comunque formato il silenzio assenso sull’istanza di sanatoria da essi presentata; e comunque anche a voler considerare il termine de quo quello del 15 febbraio 2006, data di adozione del provvedimento prot. n. 1544 con cui il Comune aveva dichiarato congruo il versamento di oneri e oblazione da parte di essi ricorrenti, il silenzio si sarebbe comunque validamente formato il 15 febbraio 2008; il provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna valutazione dell’interesse dei privati, tenuto conto che si tratterebbe di opere risalenti nel tempo (quasi 40 anni).

Con ordinanza n. 915 del 7 maggio 2015 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione proposta con il quarto ricorso per motivi aggiunti; considerato che era già stata fissata l’udienza pubblica del 15 luglio 2015 per la discussione del ricorso nel merito, questa Sezione ha ritenuto che parte ricorrente potesse trovare adeguata tutela disponendo che, nelle more, lo stato dei luoghi rimanesse inalterato; con la medesima ordinanza è stata confermata la fissazione dell’udienza pubblica del 15 luglio 2015.

Parte ricorrente e parte resistente hanno prodotto documentazione e presentato memorie; il Comune di Vairano Patenora nella memoria depositata in data 30 aprile 2015 ha eccepito l’irricevibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza dell’istanza per la condanna in forma specifica ex art. 30, comma 2, c.p.a., in quanto la richiesta di condanna per avere confidato nella apparente legittimità delle richieste di condono rientrerebbero nella giurisdizione del giudice ordinario, avendo, eventualmente, ad oggetto un comportamento illecito della P.A. per violazione del principio del “neminem laedere”.

L’Avvocatura Distrettuale dello Stato ha prodotto le relazioni illustrative della Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio per le Provincie di Caserta e Benevento, con allegata documentazione.

All’udienza pubblica del 15 luglio 2015 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso introduttivo i sig.ri Giuseppe Tizzano, Erminia Tizzano, Maria Teresa Tizzano, Gemma Tizzano, Elena Tizzano, Mario Tizzano, Amedeo Tizzano, Sergio Tizzano, Claudio Tizzano e Corrado Tizzano, comproprietari dell’immobile sito nel Comune di Vairano Patenora e denominato “Taverna Catena”, hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 46 del 6 luglio 2010 con la quale il citato Comune ha disposto la demolizione del secondo piano del suddetto immobile. Tale immobile è stato dichiarato di interesse particolarmente importante con D.M. del 4 aprile 1967, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 1089/1939, “perché costituente elemento dominante del quadro naturale sulla scena del quale si svolse lo storico incontro, con cui si concluse il processo unitario del Risorgimento Nazionale tra Vittorio Emanuele II ed il generale Giuseppe Garibaldi”.

Il ricorso è fondato e va come tale accolto.

Coglie nel segno il terzo motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano la mancata applicazione, da parte della Comune di Vairano Patenora, dell’art. 38 della l. n. 47 del 1985 che prevede la sospensione del procedimento sanzionatorio nell’ipotesi di presentazione di istanza di condono, in quanto essi ricorrenti avevano presentato istanza di condono entro il termine perentorio di cui all’articolo 31, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell’articolo 35.

Il Collegio, aderendo all’orientamento giurisprudenziale prevalente anche di questo Tribunale, dal quale non si ha motivo di discostarsi, ritiene che la presentazione di una domanda di condono edilizio entro il termine di legge preclude, ai sensi degli artt. 38 e 44, della l. n. 47 del 1985, l’adozione di provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio. La definizione del procedimento così attivato assume, infatti, un rilievo pregiudiziale rispetto alla disposizione delle prescritte misure sanzionatorie (cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 2 ottobre 2014, n. 5138). Ne consegue che i provvedimenti sanzionatori – monitori – ripristinatori adottati in epoca successiva all’avvenuta presentazione della domanda di condono devono reputarsi illegittimi per violazione degli artt. 38 e 44 della L. n. 47 del 1985 (cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 18 settembre 2014, n. 9833).

La normativa sul condono edilizio prevede, infatti, in pendenza dei termini, la sospensione de iure di ogni attività repressiva degli abusi edilizi. Invero, la predetta sospensione paralizza (non solo i procedimenti in corso, bensì anche) l’avvio dei poteri repressivi comunali, stante l’ontologica e funzionale incompatibilità del loro esercizio sia con la ratio della norma primaria, siccome volta, questa, a consentire il recupero dell’attività edilizia posta in essere, che con i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative, le cui finalità potrebbero essere vanificate dall’esito dell’iter in procinto di essere avviato sulla base della dichiarazione d’impulso ad istanza di parte (richiesta del condono edilizio) (cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 7 maggio 2014, n. 2481, Consiglio di Stato, 22 gennaio 2013, n. 362)

L’autorità comunale non può dunque adottare provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi prima di aver definito, con pronuncia espressa e motivata, il procedimento di concessione in sanatoria, in quanto una volta eventualmente sanato il manufatto realizzato senza titolo edilizio, la pronuncia positiva sarebbe inutiliter data e l’eventuale demolizione del bene risulterebbe gravemente illegittima (cfr. T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 8 settembre 2014, n. 1517) mentre nell’ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l’Amministrazione dovrà adottare nuova ingiunzione di demolizione, con fissazione di nuovi termini per la spontanea esecuzione (cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 11 settembre 2014, n. 9615).

Nella fattispecie oggetto di gravame il Comune di Vairano Patenora, come ammesso dallo stesso Comune resistente nel provvedimento prot. n. 11797 del 30 dicembre 2014, impugnato con il quarto ricorso per motivi aggiunti, solo con tale provvedimento ha definitivamente disposto il rigetto “di tutte le istanze di sanatoria/condono prodotte dagli eredi Tizzano” relative all’immobile denominato “Taverna Catena”.

Al riguardo si ritiene di dover precisare che non risulta contestata la circostanza della presentazione delle istanze di condono entro il termine perentorio di cui all’articolo 31 della l n. 47 del 1985, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell’articolo 35; per quello che in questa sede interessa, peraltro, il Comune con nota prot. n. 5893 del 3 luglio 2001, versata in atti, ha chiesto agli odierni ricorrenti di produrre “conguaglio di oblazione e versamento di oneri di urbanizzazione”, nella misura indicata nella medesima nota e con nota prot. n. 1544 del 6 febbraio 2006, depositata in giudizio, ha riconosciuto “la congruità dei versamenti effettuati e della documentazione”.

Conclusivamente, il Collegio ritiene che i profili di illegittimità dedotti con il su illustrato motivo di ricorso abbiano una indubbia valenza assorbente, sicché la fondatezza delle dedotte censure comporta l’accoglimento del ricorso introduttivo, con l’assorbimento delle ulteriori censure, e, conseguentemente, l’annullamento dell’ordinanza n. 46 del 6 luglio 2010 con la quale il Comune di Vairano Patenora ha disposto la demolizione del secondo piano dell’immobile denominato “Taverna Catena”.

Quanto al primo, secondo e terzo ricorso per motivi aggiunti, rispettivamente depositati in data 16 novembre 2012, 14 aprile 2014 e 8 ottobre 2014, proposti avverso l’accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 46 del 6 luglio 2010 (di cui alla nota prot. n. 632/PM del 26 giugno 2012 del Comando Polizia Municipale del Comune di Vairano Patenora), avverso la nota prot. n. 263 del 9 gennaio 2014 recante comunicazione di avvenuta acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale e della relativa deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Vairano Patenora n. 58 del 29 novembre 2013, nonché avverso la nota n. 4844 del 29 maggio 2014 recante l’ulteriore comunicazione di avvenuta acquisizione del bene presuntivamente abusivo al patrimonio comunale e avverso la delibera del Consiglio Comunale del Comune di Vairano Patenora n. 18 del 20 maggio 2014, adottata a seguito dell’annullamento in autotutela della suddetta delibera n. 58 del 29 novembre 2013 (in data 8 aprile 2014 con delibera consiliare n. 14) in ragione dell’errata individuazione catastale dell’immobile acquisito, atti strettamente consequenziali all’ordinanza di demolizione n. 46/2010, il Collegio deve dichiarare la fondatezza delle medesime censure riproposte in via derivata, già dedotte con il ricorso introduttivo proposto avverso l’atto presupposto (l’ordinanza di demolizione) e ritenute fondate.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, anche il primo, secondo e terzo ricorso per motivi aggiunti devono essere accolti.

Con il quarto ed ultimo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 2 aprile 2015, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del provvedimento del Comune di Vairano Patenora prot. n. 11797 del 30 dicembre 2014, successivamente notificato, recante la comunicazione di avvenuto rigetto “di tutte le istanze di sanatoria/condono prodotte dagli eredi Tizzano” relative all’immobile denominato “Taverna Catena”.

Anche tale ricorso deve ritenersi fondato.

Colgono nel segno le censure di cui al secondo e terzo motivo di ricorso con le quali parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985.

Il suddetto provvedimento di diniego definitivo di condono risulta motivato sulla base del parere reso in data 29 dicembre 2014 dalla Commissione di tutela e l’esercizio delle funzioni amministrative in materia urbanistica – edilizia, convocato dal Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Vairano Patenora, firmatario del provvedimento oggetto di impugnazione.

La suddetta Commissione, dopo aver richiamato il parere sfavorevole alla pratica di condono L. 47/85 relativamente agli interventi del secondo e terzo piano dell’immobile denominato “Taverna Catena” della Commissione edilizia integrata risalente al 27 giugno 2003, il parere della Commissione condono del 1° luglio 2014, la sentenza di questo TAR n. 19204 del 2005 con cui è stato disposto l’annullamento del parere della Soprintendenza n. 21103 del 7 dicembre 1987, ha così concluso: “La commissione di tutela paesaggistica in considerazione che l’immobile nella sua condizione originaria, è stato soggetto a vincolo con decreto 06.04.1967 da parte del Ministero della Pubblica Istruzione esprime parere sfavorevole”.

Il Collegio ritiene che l’autorità preposta alla tutela del vincolo imposto all’immobile denominato “Taverna Catena” con D.M. del 6 aprile 1967, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1089 del 1939, sia del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e, più specificatamente, la competente Soprintendenza.

Quanto sopra è espressamente previsto dall’articolo 32, comma 3, che subordina il rilascio della concessione edilizia o dell’autorizzazione in sanatoria per le opere eseguite su immobili soggetti, tra le altre, alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.

Il successivo articolo 33 al comma 2 prevede: “sono altresì escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici e degli immobili assoggettati alla tutela della L. 1 giugno 1939, n. 1089, e che non siano compatibili con la tutela medesima.”.

Alla luce del suddetto articolo, pertanto, il vincolo imposto ai sensi della suddetta legge non comporta l’inedificabilità assoluta ma un giudizio di compatibilità con la tutela che non può che essere espressa dall’autorità preposta alla tutela stessa, chiamata all’uopo ad esprimere il proprio avviso nell’ambito del relativo procedimento.

Il citato art. 2 della legge n. 1089 del 1939, recante tutela delle cose di interesse artistico storico, menzionato nel D.M. di apposizione del vincolo, abrogato dall’art. 166 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, disponeva: “Sono altresì sottoposte alla presente legge le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di notificazione, in forma amministrativa, del Ministero per la educazione nazionale. La notifica, su richiesta del Ministro, è trascritta nei registri delle Conservatorie delle ipoteche ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore della cosa a qualsiasi titolo.”.

All’attualità l’art. 21 – Interventi soggetti ad autorizzazione – del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per quello che in questa sede interessa, prevede: “1. Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero:… 4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente… 5. L’autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell’intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell’autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione.”.

Il successivo art. 22 disciplina il relativo procedimento.

Occorre evidenziare che, come prospettato da parte ricorrente e risultante in atti, la Soprintendenza, dopo la proposizione del ricorso proposto avverso il parere reso della Soprintendenza stessa prot. n. 21103 del 7 dicembre 1987, annullato con la sentenza di questo TAR n. 19204 del 2005 menzionata nel provvedimento di diniego, ha riesercitato il potere esprimendo nuovamente parere favorevole in merito ad un nuovo progetto presentato relativamente ai lavori di cui al secondo piano dell’immobile per cui è causa, ed ha ulteriormente espresso parere favorevole anche dopo il suddetto annullamento.

Più specificatamente la Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici delle Province di Caserta e Benevento con nota prot. n. 10571 del 10 maggio 2001, dopo aver richiamato, fra le altre, “la nota soprintendentizia prot. n. 21103 del 7 dicembre 1987”, alla data del 10 maggio 2001 ancora sub iudice, “considerato il lungo lasso temporale nel quale si sono svolti gli eventi dell’annosa questione in argomento che ha reso ormai datato il progetto approvato dalla soprintendenza BB.AA.AA. di Napoli con prot. 338 del 06.01.1978; considerato che detta datazione del progetto del 1978 si limita al solo stato di fatto dell’immobile e non “all’idea” progettuale” aveva invitato parte ricorrente “a presentare un aggiornamento del progetto del 1978” precisando che “l’aggiornamento deve limitarsi alle sole modificazioni intervenute allo stato di fatta dell’immobile nel lasso temporale di cui sopra si è fatto cenno.”.

La suddetta Soprintendenza con parere prot. n. 27577 del 18 dicembre 2001 (inviato ai ricorrenti ed al Comune) ha rappresentato: <vista la nota Soprintendizia prot n. 10571 del 10 maggio 2001 e la decisione in essa contenuta; preso atto della documentazione prodotta in ottemperanza a quanto richiesto con la nota soprintendentizia precedentemente citata; per quanto di propria competenza, ai sensi del Titolo I del D.Leg.vo 490/99, questa Soprintendenza ha approvato l’esecuzione dei lavori, disponendo altresì “che dovranno essere condotti nel pieno rispetto delle direttive imposte da questa Soprintendenza. Per tale motivo, prima dell’inizio dei lavori si dovrà concordare con la scrivente un calendario di sopralluoghi.”>.

Tale parere è stato confermato con il successivo parere espresso in sede di sopralluogo del 10 ottobre 2013, di cui alla nota prot. n. 24670 del 1° dicembre 2003; in tale nota, infatti, la Soprintendenza dopo aver precisato che “Il D.M. 06.04.1967 vincola l’edificio denominato Taverna Catena con la seguente motivazione: “…ha interesse…perchè costituente elemento dominante del quadro naturale sulla scena del quale si svolge lo storico incontro…” In parole povere, l’immobile è vincolato in quanto è stato l’elemento dominante nella quinta scenografica dello storico incontro e non per le sue caratteristiche architettoniche o artistiche” ha rappresentato che “La validità di tale progetto è stata successivamente ribadita con le note soprintendentizie ….del 18.12.2001 – prot. 27577. Quest’ultima relativa ad un nuovo progetto, a firma dell’ing. Giovanni Perillo, che in sostanza è solo una riproposizione del vecchio progetto” e che dava atto infine che “sia il vecchio progetto che quello nuovo prevedono la demolizione del terzo piano.”.

Da ultimo con nota prot. n. 1761 del 2009, in risposta alla richiesta avanzata da uno degli odierni ricorrenti ha comunicato che “il D.Leg.vo n. 42 del 22 gennaio 2004 e s.m.i. non prevede la riconferma del parere già espresso ai sensi dell’art. 22.”.

La Soprintendenza delle Province di Caserta e Benevento, oggi Soprintendenza delle arti e paesaggio, anche nel corso del presente giudizio, con le relazioni illustrative depositate a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, da ultimo con nota prot. n. 3084 del 30 giugno 2015, depositata in giudizio in data 10 luglio 2015, ha ribadito di aver sempre espresso parere favorevole rispetto alle richieste avanzate per le opere di recupero restauro da eseguirsi sull’immobile per cui è causa evidenziando, tra l’altro, che nessuno dei suddetti pareri risulta essere stato impugnato.

Occorre evidenziare che, peraltro, come sostenuto da parte ricorrente, la Sezione V di questo Tribunale, adita per il ricorso avverso il precedente provvedimento di rigetto di una delle istanze di condono, risalente al 28 aprile 1989, proposto da uno degli odierni ricorrenti, sig. Corrado Tizzano, nell’annullare tale provvedimento con la sentenza n. 489 del 14 settembre 1993, passata in giudicato, già con tale pronuncia aveva chiarito che la valutazione di compatibilità del manufatto con la tutela di cui alla l. n. 1089 del 1939, nell’ambito del procedimento di condono disciplinato dalla l. n. 47 del 1985, “non può che spettare all’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, chiamata all’uopo ad esprimere il proprio avviso nell’ambito del procedimento di c.d. sanatoria”. Nella medesima sentenza n. 489/1993 era stato altresì precisato: “Tanto premesso, appare conseguenziale che un Comune che, per avventura, ritenga viziato il parere favorevole della competente Soprintendenza, non per questo potrebbe considerarlo, come invece qui si è fatto, alla stregua di un parere, all’opposto, sfavorevole, in forza del quale respingere l’istanza del privato. In tal modo si cadrebbe nell’errore di identificare nel Comune l’Autorità preposta alla tutela dei vincoli di cui agli artt. 32 e 33 c. 2°, in violazione dell’ordine legislativo delle attribuzioni e competenze amministrative.”.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, il Collegio ritiene che i profili di illegittimità dedotti con i su illustrati motivi di ricorso abbiano una indubbia valenza assorbente, sicché la fondatezza delle dedotte censure comporta l’accoglimento della domanda demolitoria proposta con il quarto ricorso per motivi aggiunti, con l’assorbimento delle ulteriori censure; ne consegue l’annullamento del provvedimento del Comune di Vairano Patenora prot. n. 11797 del 30 dicembre 2014 con il quale è stato disposto il diniego di condono oggetto di impugnazione.

Gli odierni ricorrenti hanno altresì proposto domanda di accertamento del loro diritto ad ottenere il provvedimento di condono edilizio relativo alle opere realizzate in Vairano Patenora, (CE) alla via degli Abruzzi n. 20, oggetto delle domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985, nn. Prot. 5818/1986, 5819/1986, 5820/1986, 5822/1986, 5824/1986, 5825/1986, 5826/1986, 5827/1986, 5828/1986, 5829/1986 e la condanna del Comune di Vairano Patenora al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa del comportamento colpevolmente omissivo e dilatorio posto in essere dal Comune stesso.

Il Collegio ritiene che l’azione di accertamento deve ritenersi inammissibile in quanto parte ricorrente è titolare di una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Peraltro, pur essendo i ricorrenti titolari di una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo, essi ben potrebbero, ricorrendone i presupposti, essere risarciti per i danni derivanti dal comportamento colpevolmente omissivo e dilatorio del Comune resistente, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241 che al comma 1 prevede: “1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”.

In linea di principio la pretesa al danno da ritardo può essere formulata rispettivamente: – in termini di indennizzo da “mero ritardo” di cui all’ art. 2 bis secondo comma della L. n. 241 del 1990 che concerne l’ipotesi del ristoro per la mancata emissione di un provvedimento finale al momento della scadenza del termine assegnato. Il superamento del termine finale di un procedimento amministrativo non comporta l’illegittimità dell’atto tardivo ma resta sul piano della responsabilità civile dell’Amministrazione e non include come conseguenza giuridica del ritardo l’illegittimità dell’atto tardivamente adottato (Cons. di Stato Sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1913). Il decorso del “…termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte… per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi…” implica la corresponsione di un indennizzo per il mero ritardo. Come è evidente dalla sua qualificazione in termini di “indennizzo”, in tal caso il ristoro è configurabile per il solo decorso del termine anche in casi di situazioni fortuite, di forza maggiore, errore scusabile, ecc. e prescinde anche dall’elemento della “colpa” (Consiglio di Stato sez. IV 22 maggio 2014, n. 2638); – nella richiesta di un risarcimento vero e proprio, previsto dall’ art. 2 bis, comma 1, L. 7 agosto 1990, n. 241. Tale fattispecie – che può concorrere con l’indennizzo di cui sopra – deve essere ricondotto relativamente all’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità all’alveo proprio dell’art. 2043 c.c. .

In conseguenza il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto iuris et de iure in collegamento al semplice passaggio del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), nonché quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5663).

Il Collegio, condividendo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, dal quale non ha motivo di discostarsi, ritiene che tutela risarcitoria invocata resta pur sempre subordinata -in capo a chi la invoca- alla prova di un pregiudizio che non può esaurirsi nella mera constatazione del ritardo a provvedere, ponendosi, il fattore temporale, quale mero nesso causale tra fatto e lesione.

In materia di responsabilità civile della P.A. (da ritardo a provvedere) per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale occorre dare contezza del vulnus subito, non solo per il danno emergente (ove è necessaria una concreta rendicontazione), ma anche per il lucro cessante, in ordine al quale non può comunque prescindersi da una indicazione, né generica nè esplorativa, dei mancati guadagni, delle mancate occasioni e degli aggravi patrimoniali indiretti, scaturiti dal ritardo a provvedere (art. 2 bis della legge 241/1990) (cfr. ex multis T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, 14-gennaio 2015, n. 10).

La pubblica amministrazione che viola le norme sui tempi di conclusione del procedimento amministrativo è tenuta, ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 241/1990, a risarcire il danno da ritardo se il danneggiato prova: I) la violazione dei termini procedimentali; II) il dolo o la colpa dell’amministrazione; III) il nesso di causalità materiale o strutturale; IV) il danno ingiusto, inteso come lesione dell’interesse legittimo al rispetto dei predetti termini. Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato con un nesso di causalità, giuridica o funzionale, ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5600, Cons. Stato Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5663 cit., Cons. Stato Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675).

Nella fattispecie oggetto di gravame, tuttavia, la domanda di parte ricorrente deve ritenersi infondata in quanto genericamente formulata e non provata.

Deve infatti ritenersi dirimente la circostanza che parte ricorrente non solo non ha provato il relativo pregiudizio subito ma non lo ha neppure rappresentato.

I ricorrenti hanno chiesto, infine, la condanna in forma specifica ex art. 30, comma 2, c.p.a. delle Amministrazioni resistenti all’adozione del relativo provvedimento di sanatoria degli abusi edilizi realizzati in Vairano Patenora, (CE) alla via degli Abruzzi n. 20 e oggetto delle suddette domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985, nonché, ed in subordine, ove occorra, al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge.

Si prescinde dalla eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune resistente, alla luce del corretto inquadramento della pretesa fatta valere dal ricorrente, di seguito esposto.

Il Collegio, infatti, ritiene di dover procedere innanzitutto ad un corretto inquadramento della pretesa del ricorrente, in quanto la suddetta disposizione normativa disciplina il risarcimento del danno in forma specifica, mentre parte ricorrente chiede che le amministrazioni resistenti adottino nei suoi confronti il provvedimento di sanatoria degli abusi edilizi da essi realizzati per cui è causa.

Il citato art. 30 c.p.a., al comma 2, infatti dispone: “Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”.

L’adozione da parte dell’Amministrazione di un determinato atto amministrativo attiene più ai profili di adempimento e di esecuzione che non a quelli risarcitori: in presenza di un illegittimo diniego e di accertata spettanza del provvedimento amministrativo richiesto, il rilascio del provvedimento non costituisce una misura risarcitoria, ma costituisce la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull’Amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al privato.

Il risarcimento del danno in forma specifica è volto all’eliminazione materiale del danno attraverso una prestazione diversa e succedanea rispetto a quell’originaria.

Perciò esso tende alla reintegrazione dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione che è diversa da quella dovuta dal danneggiante e, quindi, alla soddisfazione di un interesse equivalente, ma non uguale, a quello oggetto dell’obbligazione.

Da qui la precisazione della dottrina civilistica per la quale il rimedio in questione non va confuso con l’azione di adempimento, né con il rimedio dell’esecuzione forzata in forma specifica per l’attuazione coercitiva del diritto (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. III, 3 dicembre 2013 n. 2681; Cons. St., sez. VI, 31 maggio 2008 n. 2622).

Nella fattispecie oggetto di gravame parte ricorrente vorrebbe ottenere proprio quella prestazione che, nella prospettazione della stessa, è oggetto di un obbligo delle amministrazioni resistenti e, pertanto, il Collegio ritiene che la domanda di parte ricorrente possa essere qualificata quale azione di adempimento e, come tale, che essa possa trovare fondamento nell’articolo 34, comma 1, lettera c) seconda parte, c.p.a. che, dopo le modifiche apportate con il terzo correttivo al codice del processo amministrativo (d.lgs. 14 settembre 2012 n. 160), prevede: “L’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’articolo 31, comma 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio”.

È stata, quindi, ammessa la possibilità di rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere la condanna dell’amministrazione ad emettere un provvedimento amministrativo.

Il legislatore, tuttavia, ha contenuto tale possibilità entro confini piuttosto ristretti, avendo escluso, da un lato, l’esperibilità di un’azione autonoma di condanna al rilascio del provvedimento, essendo ammessa unicamente la proposizione contestuale ad un’azione di annullamento o avverso il silenzio, e avendo, dall’altro, circoscritto l’ambito della proponibilità della domanda ai soli casi in cui si tratti di attività vincolata o quando risulta che non residuino ulteriori margini di discrezionalità amministrativa o tecnica e non siano necessari adempimenti istruttori (art. 31, comma 3, richiamato dall’art. 34, comma 1, lett. c) (cfr. ex multis TAR Catanzaro, Sez. I, 23 maggio 2015, n. 933, Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3364).

Passando ad analizzare il caso di specie alla luce di quanto sopra, pur sussistendo il requisito della contestualità, l’azione di adempimento proposta da parte ricorrente deve ritenersi inammissibile, considerato che il Comune di Vairano Patenora ha incentrato il diniego per cui è causa esclusivamente su profili di tutela dell’immobile denominato “Taverna Catena”, in riferimento al vincolo apposto su di esso ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1089 del 1939, spettante ad altra Amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso, senza esaminare la pratica di condono sotto il profilo urbanistico edilizio di sua competenza; pertanto, premesso che il provvedimento di condono edilizio costituisce espressione di potere vincolato rispetto ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 14 aprile 2010, n. 2105, T.A.R. Liguria Genova, Sezione I, 22 aprile 2011, n. 666, T.A.R. Lombardia, Milano, Sezione II, 22 luglio 2010, n. 3253) deve ritenersi che residuino ancora profili tecnici da esaminare da parte dell’amministrazione quali presupposti per l’adozione del provvedimento, circostanza questa che preclude l’accoglimento della domanda da parte del Collegio ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera c) seconda parte, c.p.a..

In riferimento ai predetti profili urbanistico-edilizi, si ritiene tuttavia di dover precisare, anche ai fini della doverosa successiva attività conformativa del Comune resistente alla presente sentenza, che già la citata sentenza di questo Tribunale n. 489/1993, passata in giudicato, ha chiarito che non può ritenersi fattore ostativo all’accoglimento della domanda di condono “il contrasto dell’opera con la sopravvenuta destinazione di piano della zona” (“la destinazione a n. 48 attrezzature collettive di interesse comune-culturali”) in quanto “Decisivo, sul punto, si manifesta l’art. 32, comma 2, lett. b) l. cit.”.

Ciò proprio in riferimento “al regime positivo del c.d. condono edilizio”.

Mentre, infatti, l’art. 13 l. n. 47, norma di principio, subordine rilascio del titolo in sanatoria alla conformità dell’opera agli strumenti urbanistici approvati, o anche soltanto adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia quello della presentazione della domanda, gli artt. 31e ss. l. cit. Seguono, per le opere ultimate entro il 1°/10/1983, una logica del tutto differente.

Per essi legislatore, vuoi per ragioni di finanza pubblica, vuole soprattutto per comporre la grave frattura aperta tra stato di fatto è stato di diritto recuperando al secondo l’imponente abusivismo sviluppatosi negli ultimi anni ha proceduto come segue.

Apposto come regola quella della sanabilità (art. 31) essendo escluso, in particolare, che possano in via di principio ostarvi le previsioni degli strumenti urbanistici; ha tipizzato, di contro, specifiche ipotesi in cui la sanabilità è stata esclusa, in funzione del rispetto di parametri e valori minimali reputati irrinunciabili…. Decisivo, sul punto, si manifesta l’art. 32, comma 2, lett. b) l. cit.”.

L’art. 32, opere costruite su aree sottoposte a vincolo, ai commi 2 e 3, per quello che in questa sede interessa, infatti, dispone: “2. Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: a) in difformità dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, e dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell’articolo 35; b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III; c) in contrasto con le norme del D.M. 1° aprile 1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, e con gli articoli 16, 17 e 18 della legge 13 giugno 1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico. 3. Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2, si applicano le disposizioni dell’articolo 33.”.

Conclusivamente, alla luce di quanto sopra esposto, devono essere dichiarate inammissibili le domande di accertamento e di condanna in forma specifica proposte con il quarto ricorso per motivi aggiunti.

Le spese devono porsi a carico del Comune di Vairano Patenora, nell’importo liquidato nel dispositivo, tenuto conto della parziale soccombenza di parte ricorrente; sussistono i motivi che giustificano la compensazione integrale delle spese nei confronti del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (già Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e della Regione Campania.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui ricorsi per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

a) accoglie le domande demolitorie proposte con il ricorso introduttivo, con il primo, secondo, terzo e quarto ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati, specificati in epigrafe;

d) dichiara inammissibili le domande di accertamento e di condanna in forma specifica proposte con il quarto ricorso per motivi aggiunti;

e) respinge la domanda risarcitoria del “danno da ritardo” proposta con il quarto ricorso per motivi aggiunti;

f) condanna il Comune di Vairano Patenora al pagamento di complessivi € 8.000,00 (euro ottomila/00) in favore, in solido, dei sig.ri Giuseppe Tizzano, Erminia Tizzano, Maria Teresa Tizzano, Gemma Tizzano, Elena Tizzano, Mario Tizzano, Amedeo Tizzano, Sergio Tizzano, Claudio Tizzano e, in qualità di eredi di Corrado Tizzano, di Monica Tizzano, Luciana Riboli, Alessandro Tizzano e Stefano Tizzano, a titolo di spese, diritti e onorari di causa, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; dispone la compensazione delle spese nei confronti del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (già Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e della Regione Campania.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Michelangelo Maria Liguori, Presidente FF

Olindo Di Popolo, Primo Referendario

Rosalba Giansante, Primo Referendario, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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un commento

  1. Questa è un’altra grande vittoria del super dirigente, super avvocato, gran consigliere e gran ciambellano di corte, Gaetano Di Nocera, che si autoliquida indennità di decine di migliaia di euro alla faccia degli altri dipendenti – tutti zitti come pecoroni – dei sindacati e di tutto il popolo bue.
    —————.
    Ed è anche un’altra vittoria della ditta Martone che ha tormentato tutto il popolo con la vicenda di Taverna Catena specialmente quella cima di Gianpiero.
    Adesso chi li paga questi 8.000 Euro???
    Noi VAIRANESI insieme alle indennità che versiamo al mega dirigente.
    VERGOGNATEVI E ANDATEVENE A CASA TUTTI.