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Una delle tente sepolture scavate e depredate a Riardo in località Lagoscello

RIARDO – Tesori archeologici rubati nelle campagne riardesi, recuperati in Svizzera

Una delle tente sepolture scavate e depredate a Riardo in località Lagoscello
Una delle tente sepolture scavate e depredate a Riardo in località Lagoscello

RIARDO – Ci sono anche numerosi reperti scavati e rubati nelle campagne di Riardo fra quelli che tornano al patrimono culturale italiano. Esattamente 5.361 reperti archeologici dal valore di circa 50.000.000 di euro, definitivamente restituiti allo Stato, al termine di una complessa indagine e vicenda giudiziaria internazionale, recentemente conclusasi nel territorio svizzero, a Basilea. I beni risalenti a un vastissimo arco temporale, compreso tra il VIII sec. a. C. e il III sec. d. C., provenivano da scavi clandestini effettuati in diverse regioni d’Italia: Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia. L’annuncio è del generale Mariano Mossa dei Carabinieri Nucleo operativo Tpc (Tutela Patrimonio Culturale) ha dato inizio alla conferenza stampa svoltasi non a caso al Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano. Come evidenziato  nel reportage “I tesori dell’arte nelle mani della mafia”, quest’immenso patrimonio composto da oggetti di assoluta rarità – anfore, crateri, oinoche, kantharos, statuette votive, affreschi, corazze in bronzo, trozzelle – era collocato in cinque depositi a Basilea e apparteneva a Gianfranco Becchina, noto mercante d’arte di Castelvetrano. Era lui il regista occulto di un traffico a livello internazionale che coinvolgeva una ramificata filiera composta da tombaroli, restauratori, esperti d’arte, collezionisti insospettabili, fino alle maggiori istituzioni museali internazionali. Un giro d’affari dalle proporzioni gigantesche che dalla Svizzera si connetteva al resto del mondo: Stati Uniti, Australia, Giappone, Inghilterra. Nella Confederazione Becchina aveva il suo quartier generale, nella Galleria Palladio Antique Kunst di cui era proprietario, prestanome era la moglie (cittadina elvetica, attualmente agli arresti).

L’operazione del 2012 e i 12 arresti:
Meravigliosi crateri a calice e a volute, raffinate kylix, gorgoni, satiri, protomi femminili. Sono i capolavori contenuti nell’incredibile bottino – oltre 633 pezzi per un valore stimato di un milione di euro – recuperato in Campania dai carabinieri dei beni culturali che all’alba di ieri hanno fermato una organizzazione di tombaroli accusata di controllare il «saccheggio sistematico» dei siti archeologici nella zona a nord est della regione. Denominata «Ro.vi.na.» l’indagine , coordinata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, ha portato all’esecuzione di 12 ordinanze a Casal di Principe (CE), Casapesenna (CE), Castel Volturno (CE), San Cipriano d’Aversa (CE), Cesa (CE), Mondragone (CE), Maddaloni (CE), Boscoreale (NA), Acerra (NA), pompei (NA), Bacoli (NA), Taranto, Fiorenzuola d’Arda (PC) e Eraclea (VE), con arresti domiciliari per cinque persone e misure cautelari personali (divieto di dimora o obbligo di firma) per altre sette emesse dal Gip di Santa Maria Capua Vetere.
L’accusa è di «associazione per delinquere finalizzata a ricerca illecita, impossessamento e ricettazione di reperti archeologici provenienti da scavo clandestino». Tra i capolavori sequestrati anche una oinochoe a figure nere del VII secolo a. C., una oinochoe – ovvero un vaso simile ad una brocca che si usava per versare il vino – a figure rosse del IV secolo a. C. con un demone alato, attribuito al cosiddetto «Pittore di Napoli» e due crateri a campana a figure rosse, riconducibili rispettivamente al «Pittore di Dinos» (420-450 a. C) e al «Pittore di Caivano» (340-330 a. C.). Tutti i particolari della vicenda saranno illustrati in una conferenza stampa che si terrà questa mattina alle 11 negli uffici della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere alla presenza del Procuratore Capo, Corrado Lembo.
L’indagine, che ha portato anche a 39 perquisizioni nelle abitazioni di altrettanti indagati ritenuti «fiancheggiatori» della organizzazione, era partita nel 2009. Secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori, la banda controllava il saccheggio dei siti archeologici del nord-est della Campania, nelle aree di Riardo (CE), Teano (CE), Calvi Risorta (CE), Sant’Agata de’ Goti (BN) e Montesarchio (BN). Grazie a pedinamenti e servizi di osservazione fatti anche con l’aiuto di visori notturni e telecamere ad infrarosso, sono stati identificati i promotori dell’organizzazione che si servivano di squadre di tombaroli di Casal di Principe e così avevano riportato alla luce – servendosi anche di spilloni per sondare il terreno e metal detector – i reperti che sarebbero poi stati messi sul mercato clandestino nazionale e internazionale.
Non si esclude che il sodalizio possa avere collusioni con la criminalità organizzata, sottolineano gli investigatori, perchè alcuni degli indagati sono stati già coinvolti in altre indagini per associazione camorristica e favoreggiamento della latitanza di esponenti del clan dei casalesi. Ulteriori «inconfutabili conferme del quadro accusatorio», fanno notare ancora gli investigatori, sono venute, nel tempo, da perquisizioni e sequestri che hanno consentito, al momento, il recupero, complessivamente, di 633 reperti, tra cui crateri a calice e a volute, skyphos, kylix, gorgoni, satiri e protomi femminili, e 1000 frammenti, per un valore complessivo di circa un milione di euro. Le perizie degli esperti sui beni sequestrati hanno confermato la grande rilevanza archeologica oltre che venale di molti dei reperti sia per le qualità artistiche sia per l’unicità delle decorazioni e la raffinatezza dei materiali impiegati.

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