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RIARDO – Fonderia, le troppe facce del sindaco

RIARDO – Sulla fonderia il sindaco Angelo Izzo si dice non favorevole ma nemmeno contrario. Lo ha affermato ieri durante il convegno – organizzato dai comitati “contro” – che si è svolto all’interno dell’aula consiliare. Eppure il sindaco un anno fa approvava una delibera di consiglio in cui, con la sua maggioranza, diceva no all’impianto e negava anche lo studio di fattibilità. Poi, però, di fatto, come se nulla fosse, ha incontrato “gli emissari” del gruppo Ragosto e i vertici dell’azienda. Di fatto poi  lo studio di fattibilità è stato realizzato e il progetto è cosa fatta.  Cosa ha fatto cambiare idea all’amministrazione? Perchè tanta fiducia in certi galantuomini? Quali le promesse fatte? Riardo e il suo territorio non può essere svenduto al primo “ferrovecchio” che passa.

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24 commenti

  1. Sarebbe opportuno pubblicare i numerosi articoli sul gruppo Ragosta, il rapporto Legambiente del 2005 e quanto il web contiene su questi imprenditori arricchitisi sembra con il traffico dei rifiuti e le frodi e attenzionati dalla DDA.
    Solo a Riardo potevano venire !!!

  2. Se è così gentile da inviarmi il materiale ( anche via email) non c’è alcuna difficoltà nel pubblicare

  3. Bresciaoggi 15 giugno 2011

    Odolo: il Comune non sarà parte civile

    Il sindaco di Odolo, Fausto Cassetti
    A odolo, il caso divide. Chiamato a costituirsi parte civile (come, fra gli altri, il ministero dell’ambiente, il commissario di governo per l’emergenza rifiuti in Campania, la provincia di Brescia, la Regione Lombardia e il comune di Bedizzole), l’amministrazione presieduta dal sindaco Fausto Cassetti, che ha in tasca anche la delega ad ambiente ed ecologia, ha deciso che non ci sarà.
    «IL NOSTRO PRIMO passo – spiega Cassetti – è stato quello di esaminare in modo approfondito tutti i documenti. E abbiamo maturato la convinzione che per noi non c’era alcun motivo di costituirci parte civile perché ci risulta che i camion incriminati non hanno neppure varcato l’entrata dell’azienda, quindi nessun danno ambientale ne è derivato per odolo e la sua popolazione».
    La questione è approdata anche in consiglio comunale. «Qui – continua Cassetti -, parte della minoranza ha presentato un’interrogazione nella quale si chiedeva come mai non ci costituivamo parte civile. Dopo la discussione, la maggioranza ha condiviso la nostra scelta, mentre la minoranza ha votato contro. Per noi la costuituzione di parte civile è inutile e controproducente, visto che quel che ci interessa è il danno ambientale provocato, e a nostro parere questo non si è verificato. Inoltre tutti i controlli operati nei confronti dell’azienda, hanno sempre dato risultato negativo. Questo per noi vuol dire che l’azienda, si sta comportando bene in tema di tutela ambientale».MASSIMO PASINETTI

    L’INCHIESTA,
    Arriverà il 24 giugno in udienza preliminare l’indagine sfociata nel 2007 nel sequestro dell’azienda Valsabbina e della discarica a Bedizzole
    Traffico di rifiuti, in diciotto dal giudice
    Marco Toresini
    L’accusa: carcasse di auto non bonificate da un impianto dell’area napoletana per la Ferriera Valsabbia e la Faeco

    Il Palazzo di Giustizia di Brescia
    Nella contabilità della procura della Repubblica di Brescia figura tra le indagini aperte sul traffico illegale di rifiuti e nella richiesta di rinvio a giudizio, firmata il 7 marzo scorso dai pubblici ministeri Paolo Savio, Michele Stagno e Claudio Pinto, inquieta quell’intestazione “Direzione distrettuale antimafia” che lascia intravedere non meglio precisate contiguità della criminalità organizzata, almeno nelle fasi di nascita e sviluppo delle indagini, nella Campania più a rischio, tra Napoli e Caserta.
    Il 24 giugno, davanti al Giudice per l’udienza preliminare, Ciro Iacomino, compariranno in 18 per dar conto di quello che la procura di Brescia ritiene essere un traffico illecito di rifiuti dipanatosi tra il 2000 e il 2005, tra un impianto di trattamento rifiuti di Frattaminore (Napoli), la nostra provincia e il Friuli. Un’indagine che nel 2007 era sfociata in un blitz dei carabinieri su ordine della magistratura di Napoli che aveva portato al sequestro della discarica Faeco di Bedizzole, della Ferriera Valsabbia di odolo e di altre aziende fra le quali un’autodemolizione di Frattaminore, un impianto di San Giorgio di Nogaro (Udine), una società di mediazione e una di autotrasporti entrambe del Sud.
    Sotto accusa dei magistrati bresciani, che hanno ereditato l’indagine dai colleghi di Napoli, un traffico di carcasse di automobili che partivano dall’impianto Commet di Frattaminore come “veicoli fuori uso non contenenti liquidi nè altre componenti pericolose”, ma che in realtà sarebbero stati rifiuti pericolosi perchè non bonificati da emulsioni oleose e altre sostanze tra le quali Pcb.
    Dotati di certificati di analisi false, su mezzi della Italia Trasporti, non autorizzata a veicolare questo tipo di materiale, finivano per il recupero all’impianto della Ferriera Valsabbia di odolo, che li avrebbe smaltiti illecitamente.
    Dalla campana Commet, attraverso l’intermediazione della Transider sud srl, i rifiuti con lo stesso meccanismo partivano anche alla volta degli impianti de La Siderurgica srl di San Giorgio di Nogaro (Udine) che dopo la triturazione e la miscelazione con altro materiale sarebbe diventato fluff e conferito come rifiuto non pericoloso, grazie ad una certificazione ritenuta falsa, alla discarica Faeco di Bedizzole.
    Un volume di affari, quello tra Commet e Siderurgica, che la Procura ha quantificato in oltre un milione di euro per un flusso di circa 18.103 tonnellate di rifiuti tra il 2004 e il maggio 2005.
    Accanto alle accuse di traffico illecito di rifiuti, con il corollario di false documentazione, abusi, analisi che avrebbero attestato rifiuti con caratteristiche non corrispondenti al vero, nel mirino della Procura sono finiti anche i comportamenti di alcuni funzionari pubblici: ad iniziare dal capo settore urbanistica del comune di Frattaminore (che non è sotto processo a Brescia, ma lo sono i titolari dell’azienda napoletana) per alcune opere ritenute abusive all’interno dell’impianto Commet, al dirigente della Regione Lombardia che ritenne una modifica non sostanziale, quindi non soggetta ad una nuova valutazione di impatto ambientale, la sostituzione di un frantumatore di rottami con un impianto di vagliatura e selezione del materiale alla Ferriera Valsabbia.

    Sotto accusa manager e camionisti
    Mercoledì 15 Giugno 2011 PROVINCIA, pagina 19
    Ecco i 18 imputati chiamati in aula il 24 giugno: Giovan Battista e Ruggero Brunori legale rappresentante e amministratore della Ferriera Valsabbia Spa di odolo; Angelo, Francesco, Gaspare e Mariano Giordano gestori della Commet con Virginio Guida, firmatario di una relazione tecnica per conto della Commet ritenuta falsa; Gianbattista Chiodi e Cristina Mazzucchelli, rappresentante legale e direttore tecnico della Faeco di Bedizzole; Tiziano Comelli, Adriano Linzi e Adriano Lualdi gestori de La Siderurgica srl; Michele Campanile, Francesco Roma, Farah Nasreddine e Antonio Di Criscio, i primi due rappresentanti della Italia Trasporti srl, gli altri camionisti usati per i viaggi incriminati; Giovanni Ragosta, rappresentante della Transider, srl e Carlo Licotti, il funzionario regionale bresciano sotto accusa per una dichiarazione ritenuta non veritiera.

  4. Per le altre notizie ho semplicemente cercato Ragosta e gruppo Ragosta sul web: tutti e tre i fratelli Ragosta sono variamente implicati, il rapporto Lagambiente si riferisce alle attività gestite nel venafrano, poi portate al fallimento ed è su internet, sempre sul web anche un’interrogazione parlamentare per certi traffici verso Teramo e molto altro. La questione è decisamente più seria delle chiacchiere fatte fin ora e diverse procure indagano.

  5. se Lei ha possibilità di inviarmi direttamente il materiale, è meglio. Grazie. In ogni caso

  6. SUL WEB COSTIERA AMALFITANA

    FRODE DA 150 MILIONI DI EURO. SEQUESTRI AD ALBERGHI IN COSTIERA AMALFITANA DEL GRUPPO RAGOSTA
    costiera amalfitana truffa per comprare alberghi
    Una maxi frode per acquistare alberghi nella Costa d’ Amalfi. I finanzieri del Comando Provinciale di Napoli, nell’ambito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Nola, hanno accertato una frode fiscale di circa 150 milioni di euro compiuta, secondo le indagini, da membri della famiglia Ragosta, noti imprenditori dell’area vesuviana, di San Giuseppe vesuviano.

    I finanzieri agli ordini del Col. Fabio Massimo Mendella, comandante del gruppo tutela entrate, hanno sottoposto a sequestro preventivo un fondo immobiliare del valore di circa 20 milioni di euro, dove era confluito il profitto della rilevante evasione fiscale utilizzato per l’acquisto di alberghi di lusso in rinomate località turistiche. Il fondo sequestrato fa capo al gruppo Ragosta, proprietario di alberghi ed immobili a Roma, a Taormina e in costiera amalfitana. Le indagini hanno consentito di individuare un sistema di frode ai danni dell’Erario, mediante il ricorso a crediti Iva inesistenti per 146 milioni di euro, sorti a fronte di operazioni commerciali fittizie pari a 730 milioni di euro.

    La truffa prevedeva poi la monetizzazione del credito Iva mediante la successiva compensazione con il debito d’imposta delle società effettivamente operative, tutte componenti del gruppo Ragosta.

    Tra questi, l’Hotel Raito di Vietri sul Mare, l’Hotel Paradiso, l’Hotel La Plage, ed un immobile di prestigio a Roma. Il sequestro delle quote si è reso necessario dopo l’accertamento, da parte degli inquirenti, di una rilavante evasione dell’Iva (imposta sul valore aggiunto), da parte delle società del Gruppo Ragosta, che operano nel settore della produzione e commercializzazione di materiale ferroso.

    LA FRODE Le indagini hanno consentito di individuare un complesso sistema di frode ai danni dell’Erario, mediante il ricorso a crediti IVA inesistenti per 146 milioni di euro, sortia fronte di operazioni commerciali fittizie pari a 730 milioni di euro. Si è dunque accertato, in altre parole, che, utilizzando una società del gruppo esclusivamente a questo fine, gli amministratori del gruppo avevano costituito un imponente – quasi 150 milioni di euro – credito Iva sulla base di operazioni commerciali del tutto inesistenti ( per circa, come detto, 730 milioni di euro). L’articolato disegno criminoso prevedeva poi la monetizzazione del credito Iva mediante la successiva compensazione con il debito d’imposta sorto in capo alle società effettivamente operative, tutte componenti del gruppo Ragosta. Queste dunque, risparmiavano gli esborsi per buona parte di quei 150 milioni che avrebbero dovuto versare all’erario per l’IVA sulla propria attività scomputandoli dal credito cosi illecitamente procurato.

    IMMOBILE AFFITTATO ALL’ATAC Gli ulteriori e più approfonditi accertamenti di polizia giudiziaria, condotti anche attraverso lo strumento delle indagini bancarie, hanno permesso di acclarare che il profitto dell’evasione è stato successivamente immesso nelle società immobiliari di famiglia, per essere reinvestito nell’acquisto di lussuosi alberghi e immobili siti su tutto il territorio nazionale, alcuni dei quali dati in affitto ad Enti Pubblici. L’immobile di Roma era stato dato in affito, per un certo periodo di tempo, all’Atac di Roma. L’azienda è naturalmente del tutto estranea alla vicenda, avendo solo preso in affitto l’edificio.

    Ai tanti che prendono da positanonews e non ci citano, o ricitano, purtroppo siamo rassegnati. Prendete e copiate ampiamente. La notizia è di per se stesso un bene che va divulgato.

  7. SUL WEB COSTIERA AMALFITANA

    FRODE DA 150 MILIONI DI EURO. SEQUESTRI AD ALBERGHI IN COSTIERA AMALFITANA DEL GRUPPO RAGOSTA
    costiera amalfitana truffa per comprare alberghi
    Una maxi frode per acquistare alberghi nella Costa d’ Amalfi. I finanzieri del Comando Provinciale di Napoli, nell’ambito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Nola, hanno accertato una frode fiscale di circa 150 milioni di euro compiuta, secondo le indagini, da membri della famiglia Ragosta, noti imprenditori dell’area vesuviana, di San Giuseppe vesuviano.

    I finanzieri agli ordini del Col. Fabio Massimo Mendella, comandante del gruppo tutela entrate, hanno sottoposto a sequestro preventivo un fondo immobiliare del valore di circa 20 milioni di euro, dove era confluito il profitto della rilevante evasione fiscale utilizzato per l’acquisto di alberghi di lusso in rinomate località turistiche. Il fondo sequestrato fa capo al gruppo Ragosta, proprietario di alberghi ed immobili a Roma, a Taormina e in costiera amalfitana. Le indagini hanno consentito di individuare un sistema di frode ai danni dell’Erario, mediante il ricorso a crediti Iva inesistenti per 146 milioni di euro, sorti a fronte di operazioni commerciali fittizie pari a 730 milioni di euro.

    La truffa prevedeva poi la monetizzazione del credito Iva mediante la successiva compensazione con il debito d’imposta delle società effettivamente operative, tutte componenti del gruppo Ragosta.

    Tra questi, l’Hotel Raito di Vietri sul Mare, l’Hotel Paradiso, l’Hotel La Plage, ed un immobile di prestigio a Roma. Il sequestro delle quote si è reso necessario dopo l’accertamento, da parte degli inquirenti, di una rilavante evasione dell’Iva (imposta sul valore aggiunto), da parte delle società del Gruppo Ragosta, che operano nel settore della produzione e commercializzazione di materiale ferroso.

    LA FRODE Le indagini hanno consentito di individuare un complesso sistema di frode ai danni dell’Erario, mediante il ricorso a crediti IVA inesistenti per 146 milioni di euro, sortia fronte di operazioni commerciali fittizie pari a 730 milioni di euro. Si è dunque accertato, in altre parole, che, utilizzando una società del gruppo esclusivamente a questo fine, gli amministratori del gruppo avevano costituito un imponente – quasi 150 milioni di euro – credito Iva sulla base di operazioni commerciali del tutto inesistenti ( per circa, come detto, 730 milioni di euro). L’articolato disegno criminoso prevedeva poi la monetizzazione del credito Iva mediante la successiva compensazione con il debito d’imposta sorto in capo alle società effettivamente operative, tutte componenti del gruppo Ragosta. Queste dunque, risparmiavano gli esborsi per buona parte di quei 150 milioni che avrebbero dovuto versare all’erario per l’IVA sulla propria attività scomputandoli dal credito cosi illecitamente procurato.

    IMMOBILE AFFITTATO ALL’ATAC Gli ulteriori e più approfonditi accertamenti di polizia giudiziaria, condotti anche attraverso lo strumento delle indagini bancarie, hanno permesso di acclarare che il profitto dell’evasione è stato successivamente immesso nelle società immobiliari di famiglia, per essere reinvestito nell’acquisto di lussuosi alberghi e immobili siti su tutto il territorio nazionale, alcuni dei quali dati in affitto ad Enti Pubblici. L’immobile di Roma era stato dato in affito, per un certo periodo di tempo, all’Atac di Roma. L’azienda è naturalmente del tutto estranea alla vicenda, avendo solo preso in affitto l’edificio.

    Ai tanti che prendono da positanonews e non ci citano, o ricitano, purtroppo siamo rassegnati. Prendete e copiate ampiamente. La notizia è di per se stesso un bene che va divulgato.

  8. SUL WEB “LA VOCE DELLE VOCI”

    CIVITAVECCHIA – PORTO CHE SCOTTI

    di Andrea Cinquegrani [ 03/10/2010]

    Per la prima volta viene alla luce l’incredibile scenario affaristico che si muove lungo la costa laziale. Un super mix a base di cosche, politica made in tangentopoli e interessi massonici, in prima fila l’ex P2 Elia Valori. Al centro dei business da miliardi c’e’ lo scalo portuale. Ma anche la centrale a biomasse, il cementificio e tutto quanto fa appalto. Ecco nomi, sigle e cifre in ballo.
    * * *
    Suscita appetiti smisurati e scatena una furia assassina un piccolo porto come puo’ esserlo quello di Acciaroli, col sindaco di Pollica Angelo Vassallo crivellato di colpi camorristi. Figuriamoci che interessi possono concentrarsi in uno scalo cento volte piu’ grande, con tutte le opere in fase di progettazione o realizzazione, come quello di Civitavecchia e le centinia di milioni di euro gia’ in ballo. E qui da noi, gia’ da anni le mafie, soprattutto quella dei casalesi, dettano legge».
    A parlare e’ un agente marittimo da una vita nello scalo a nord di Roma. Uno scalo al centro di interessi “multipli”, come si conviene per i maxi business dove accanto a politici, stuoli di professionisti, faccendieri d’ogni razza, si ritrova il solito convitato di pietra: la malavita organizzata, ormai super-radicata lungo tutto il litorale non solo a sud della capitale (da Formia fino all’alto casertano), ma anche a nord, con forti capisaldi nell’entroterra, come dimostra il caso Fondi, col MOF (Mercato Ortofrutticolo Fondi) vero e proprio crocevia di ‘ndrangheta e camorra. Sottolinea Elvio Di Cesare, presidente laziale dell’Associazione Caponnetto, da anni in prima linea nel documentare e denunciare commistioni tra politica, malavita e affari nell’alto e nel basso Lazio: «Si registra un aumento esponenziale della presenza di nuclei familiari, manager e imprese provenienti dal casertano, ma anche dalla Calabria e dalla Sicilia, cosi’ come continue aperture flash di esercizi commerciali, strani passaggi di terreni e proprieta’ immobiliari, aperture di sportelli bancari». Insomma, «un’anomala, grande liquidita’ in netta controtendenza rispetto alla crisi economica attuale». Rincara la dose Luigi Daga, ex assessore regionale Pci e vicepresidente della Caponnetto: «Il nostro territorio e’ diventato una maxi lavanderia a cielo aperto, una gigantesca macchina del riciclaggio dove la gran parte delle opere pubbliche sono finite nel mirino delle cosche. Solo qualche esempio. ‘Ndrine e Casamonica operano lungo la costa tirrenica fino a Montalto di Castro, i partenopei Di Lauro, big della coca a Secondigliano, li troviamo a Santa Marinella, i calabresi Pulvirenti, affiliati ai catanesi di Nitto Santapaola, tra Ladispoli e Cerveteri, i Rinzivillo hanno puntato soprattutto sul porto di Civitavecchia e la centrale Enel in fase di riconversione; e ancora i Gallo-Cavalieri da Torre Annunziata sono impegnati nei traffici illeciti tra Civitavecchia e Ladispoli». Un super mix ad altissimo potenziale economico e criminale. Tale da dettare ormai legge incontrastata sul territorio. Senza che alcun affare possa sfuggire al suo controllo.
    Vediamo allora, a partire dal business numero uno, il porto di Civitavecchia, tutte le occasioni milionarie che la Mafie spa ha nel suo mirino.

    PORTO, RICICLOe#8200;e TORNO
    Un autentico cocktail, lo scalo portuale: mafie nostrane oppure cinesi, faccendieri, piduisti, basta che ci sia un affare, un appalto. E li’, di soldi, ce n’e’ davvero un mare. Partiamo dalla crema. Ovvero dall’operazione Cantiere Privilege, roba per magayacht, nata, battezzata e cresciuta sotto il vigile sguardo di Giancarlo Elia Valori, uno dei pochi uomini al mondo capace di tessere affari con israeliani e palestinesi al tempo stesso, piduista della prima ora (espulso da Licio Gelli in persona) e fervente opusdeista, amico di magistrati che contano e nel mirino di altre toghe. Per fare un paio di esempi: era al centro delle indagini targate Luigi De Magistris alla procura di Catanzaro, soprattutto per gli affari della sua Torno International; ed e’ tra gli indagati della cordata Alitalia-Cai.
    Ex numero uno degli industriali romani, Valori e’ oggi presidente della strategica Sviluppo Lazio e mentore della Ultrapolis Investment, multinazionale con sedi a Singapore, Hong Kong, Londra e negli States (fiore all’occhiello il vertice affidato all’ex numero uno dell’Onu Perez de Cuellar) che un bel giorno decide di sbarcare – progetti, compassi e milioni al seguito – nel porto di Civitavecchia. «Tra i piu’ accesi sostenitori dell’iniziativa – raccontano in ambienti marittimi locali – i sottosegretari Giuseppe Maria Reina e Vincenzo Scotti. E quest’ultimo a quanto pare avrebbe anche interessi economici nell’operazione Privilege». E’ infatti al timone della Privilege Fleet Management Co spa, Scotti, il quale non ha mancato di aprire la manifestazone per la posa della prima pietra all’Hotel Regis di Roma, nonche’ di visitare ufficialmente il cantiere a fine settembre 2009, insieme a Reina e al presidente della commissione finanze del Senato Mario Baldassarri.
    Un pallino, per il numero due agli Esteri, il partenopeo Scotti, quello dei porti: comincio’ – fine anni ‘70 – con quello di Mergellina a Napoli, ora mostra interesse (tramite la famiglia puteolana dei Cosenza, con la parlamentare pdl Giulia nel motore, molto vicina anche a Italo Bocchino e Paolo Cirino Pomicino) per il futuro del Waterfront di Arco Felice nell’area flegrea (altro business arcimilionario, circa 1.500 posti barca), per finire con Civitavecchia: sono passati gli anni del purgatorio post Tangentopoli trascorsi all’universita’ di Malta…

    PIATTIe#8200;CINESI
    Torniamo a Valori. Che scende in acqua con altre due corazzate. Figura infatti sul ponte di comando del Consorzio Sviluppo Mediterraneo (Cosvime per gli aficionados) e di Centrale Finanziaria Generale spa (a presiedere quest’ultima, prima di lui, c’era Alberto Gotti), sigle super interessate ai destini – portuali e non solo – di tutta l’area. Tanto da siglare con il Comune una sorta di “accordo quadro”, un’intesa a tutto campo per «favorire un processo di sviluppo nell’area a nord della capitale». In che modo? Mettendo in tavola una serie di “piatti forti”, piu’ tecnicamente «uno studio di fattibilita’ delle infrastrutture a servizio della piattaforma logistica civitavecchiese». Tradotto in soldoni? Aeroporto cargo e turistico a Tarquinia, distri-park tra Civitavecchia, Allumiere e Tarquinia, ampliamento della zona industriale del porto e dell’interporto di Civitavecchia, collegamenti infrastrutturali, in primis la linea ferroviaria Capranica-Orte e la superstrada Viterbo-Vetralla, «in grado di collegare il porto – sostengono i promotori – ai sistemi industriali del Centro Italia».
    Piatti e pietanze arcimilionarie. Peccato che la “cucina” sia vietata ai non addetti ai lavori. Si’, perche’ l’accordo sottoscritto tra il Comune da un lato e le due sigle made in Valori dall’altro, all’articolo 11 prevede espressamente che «nessuna delle parti rivelera’ ad altre persone, enti od organismi, informazioni e dati di cui le Parti vengano a conoscenza durante o in relazione ad ogni attivita’ inerente all’esecuzione del Protocollo d’intesa». Sara’ necessario dotarsi di cappucci e grembiulini per accedere a tali segrete notizie? Verranno celebrate adunanze consiliari seguendo il rito scozzese o quale altro?
    Tra i partner internazionali piu’ interessati ai progetti del futuro, in prima fila i cinesi. «E’ proprio Valori – ricostruiscono alcuni all’Autorita’ portuale – che ha guidato a Civitavecchia la visita del procuratore generale della repubblica popolare cinese Jia Sun, neo ambasciatore in Italia, il quale ha incontrato il sindaco, visitato il porto e successivamente il comune di Tarquinia. Si sono poi svolti vari incontri con la societa’ HNA, pubblicizzata dal comune di Civitavecchia come il terzo gruppo cinese per importanza nei settori commerciale, turistico e logistico, incontri che si sono svolti nella sede della Centrale Finanziaria, dopo i quali gli stessi vertici municipali hanno deciso di inviare una propria delegazione all’Expo 2010 di Shanghai». Del resto, e’ in cantiere la realizzazione di una maxi “Terminal Cina/Asia” per il carico e lo scarico di container previsto proprio all’interno dello scalo, super sponsorizzato dal sindaco ma a quanto pare snobbato («non e’ ancora nei programmi di espansione») dall’attuale numero uno dell’Autorita’ portuale, Fabio Ciani.

    ECCOe#8200;ILe#8200;SUPER SINDACO
    Ma chi siede al vertice del pluriprotagonista comune di Civitavecchia? Il primo cittadino si chiama Giovanni Moscherini, una vita all’Autorita’ portuale. Ex craxiano di ferro, al Comune approdo’ come “Segretario” quindici anni fa su indicazione dell’allora presidente, il diessino Francesco Nerli (per parecchi anni dominus incontrastato dell’area portuale di Napoli, oggi sotto inchiesta per una serie di appalti poco chiari). Nel 2000 l’allora ministro dei Trasporti del governo D’Alema, Pierluigi Bersani, lo nomina Commissario.
    Solo un anno dopo, l’appena insediato esecutivo Berlusconi, su proposta del ministro Pietro Lunardi (altro sponsor un forzista doc, Luigi Grillo, finito nell’inchiesta sulle scalate bancarie e i furbetti del quartierino), lo incorona presidente. Insomma, piroette a 180 gradi.
    Un faro, comunque, lo illumina: quello chiamato Opus Dei. Nel 2002, fresco numero uno dell’Autorita’, Moscherini dedica ad un altro fresco di nomina, il neo santo Jose’ Escriva’ de Balaguer, una intera banchina del porto. Nel 2005 il portavoce della Santa Sede, Navarro Valls, elogia pubblicamente – non si sa bene a quale titolo – i vertici del porto di Civitavecchia. Tre anni dopo, nel presentare in pompa magna i progetti Privilege dell’amico Giancarlo Elia Valori, Moscherini si autodefinisce “maestro dirigente dell’Opus Dei” (nel suo profilo Facebook, piu’ prosaicamente, riferisce di essere un «dipendente dell’Agenzia Marittima Fremura»).
    Dalle vicende spirituali a quelle terrene – e anche mangerecce – il passo non e’ poi cosi’ lungo: ed ecco che, dai faldoni dell’inchiesta sulla cricca made in Anemone, Balducci, Bertolaso e C., spuntano tracce di un incontro dell’ottobre 2009 in un ristorante romano al quale, secondo fonti investigative, «hanno partecipato alcuni imprenditori interessati ad investire sul territorio e il sindaco Moscherini». Nel corso della cena quest’ultimo «affermo’ che gli amici del Salaria Sport Village sono disposti a realizzare un project financing per la cittadella dello sport e poi donarla al Comune. Li ho visti a cena venti giorni fa».
    Una cena tira l’altra, cosi’ come i progetti. Ne scaturiscono a getto continuo, dal vulcanico sindaco-ovunque. C’e’ quello del “porto storico”, per realizzare un “marina yatchting” ad uso di natanti al di sopra d’una certa dimesione: progetto affidato senza gara – sottolineano operatori del settore – a una delle ammiraglie di casa Caltagirone, la Porto del Tirreno spa che fa capo a Francesco Bellavista Caltagirone e alla neo compagna Beatrice Parodi, figlia di uno dei piu’ grossi armatori liguri, Piergiorgio Parodi, ottimo amico dell’ex ministro per le Attivita’ produttive (e ancora, dopo 5 mesi, in attesa di successore) Claudio Scajola.
    Solo una tappa, Civitavecchia, nella crociera “Grandi Appalti” della corazzata Caltagirone che si sta svolgendo lungo tutto il litorale tirrenico, dalla cara Liguria, naturalmente, passando per Massa e Carrara (sono in fase d’avvio lavori gia’ sotto i riflettori della magistratura), fino alla costa laziale, epicentro Fiumicino, dove e’ stata appena posata la prima pietra per opere arcimilionarie «attese da quasi quarant’anni», gioiscono nell’area.
    Maxi affaire giallo a parte (il “Terminal Asia/Cina”), non si lasciano perdere neanche (si fa per dire, sempre miloni di euro) le briciole. Come e’ il caso del Porticciolo Frasca, per la cui realizzazione – a quanto pare – viaggia col vento in poppa il progetto redatto dalla Porto Popolare La Frasca spa. Sul ponte di comando Giuliano Valente, amministratore delegato, azionista al 90 per cento. Ma nel pedigree di Valente spiccano altre due cariche: e’ capogruppo Pdl al comune di Nettuno («una sorta di sindaco ombra – raccontano in municipio – visto che il primo cittadino Vittorio Marzoli fa quello che dice lui») e amministratore delegato di un’altra sigla nautica, Marina di Nettuno. Destino tumultuoso, quello della Marina di Nettuno, visto che e’ finita nel vortice di un’inchiesta giudiziaria al calor bianco, con l’accusa di collusione con le ‘ndrine dei Gallace-Novella: inchiesta che ha portato anche allo scioglimento – provvedimento prefettizio poi firmato dal capo dello stato – del comune di Nettuno. Negli ultimi tempi, pero’, Moscherini avrebbe fatto marcia indietro, sostenendo che i lavori verranno effettuati dal tandem Enel-gruppo Gavio, battente bandiera Compagnia Porto spa, che sta gia’ realizzando la darsena “petroli grandi masse” all’interno dello scalo.
    E vediamo ancora, in rapida carrellata, altri nodi “bollenti” che riguardano sia l’area portuale di Civitavecchia che le strategiche aree limitrofe.

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    «Una presenza quasi ossessiva nel porto e nelle societa’ che vi operano – notano altri addetti marittimi – e’ quella del messinese Salvatore Barone», originario di San Piero Patti, precedenti (operativi) nel porto di Gioia Tauro: non solo nelle aree portuali pullulano una sfilza di societa’ a lui riconducibili (Tma srl, Windstar sa holding, Transnational sa holding per citarne solo alcune) ma a quanto pare la gran parte degli immobili che si trovano a ridosso delle mura del porto storico, fanno capo a sue societa’. Altro legame forte di Barone (non pochi lo etichettano come “l’uomo di riferimento”) e’ quello con la potente famiglie messinese dei Franza, a sua volta ben presente nel porto con la Caronte e Tourist che fino al 2009 ha gestito i collegamenti ferry tra Messina e Civitavecchia (la sigla nasce dalla fusione della Caronte spa dei Matacena con la Tourist Ferry Boat dei Franza).
    Un’altra sigla, Interminal, si occupa invece delle operazioni portuali delle navi Tirrenia e avrebbe intenzione – raccontano alcuni addetti ai lavori – di mettere a segno un colpo che fa gola a molti, un district park nell’area portuale. Interminal e’ controllata da un casertano, originario di Parete, Nicola Di Sarno, che con un’altra sigla – Interport – monopolizza i lavori gru nel porto di Gaeta, dove sono importanti soprattutto i traffici nazionali di pet coke: e da questo avamposto Di Sarno si collega con il suo deposito che si trova poco oltre il ponte sul Garigliano. Un esponente di spicco del potente clan napoletano dei Nuvoletta (alleati con Cosa Nostra) era suo padre, Pietro Di Sarno, deceduto quattro anni fa.

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    E da Gaeta sta per arrivare a Civitavecchia un altro imprenditore che conta, Vito Panati, che controlla il gruppo Panapesca, una quindicina di sigle collegate e impegnate nel trasporto di pesce congelato. Il nome di Panati e’ rimbalzato nelle cronache del caso Alpi, dal momento che a lui faceva capo anche la PIA (Prodotti Ittici Alimentari), avamposto sempre a Gaeta, per anni attiva nell’import export di pesce (ma a quanto pare – secondo le testimonianze di alcuni ex lavoratori raccolte anche dai membri della commissione parlamentare d’inchiesta – non solo: si parla di scorie nucleari, armi e droga tanto per gradire), spesso e volentieri utilizzando o cogestendo le navi della Shifco, sulle quali Ilaria Alpi e Miran Hrovatin stavano raccogliendo elementi proprio pochi giorni prima di essere trucidati. Due anni fa – a luglio 2008 – nel corso di una conferenza stampa il sindaco Moscherini annuncia entusiasta lo sbarco di Panapesca con uno stabilimento da 150 posti di lavoro da localizzare nella zona industriale.
    Passano alcuni mesi, siamo a febbraio 2009: la giunta comunale vara un accordo di programma che prevede la realizzazione in localita’ Campo Reale di una maxi piattaforma industriale per la produzione di beni e servizi (compresi motel, minimarket, sale conferenza, su quasi 90 ettari). Disco verde, dunque, per i favolosi progetti partoriti dalla Rodeo srl amministrata da Daniele Marini. Quanto mai misteriosi i soci (il capitale e’ pari a 488 mila euro): la portoghese Bisiliat Consultadoria Servios IDA, la lussemburghese Civifin s.a., le inglesi Medinfix ltd e Elocyn ltd (che hanno poi venduto le loro quote ad una consorella sempre made in Lussemburgo, Continentale Financiere s.a.): ma secondo non pochi, i veri padroni sono cinesi. Sponsor d’eccezione, lo stesso Moscherini.

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    Molti uffici strategici del comune di Civitavecchia sono distaccati nella Torre Europa, un palazzone ipermoderno, dieci piani e, soprattutto, una storia tutta da raccontare.
    Lo stabile, infatti, e’ una delle tante proprieta’ che fanno capo alla Immobilgest di Casoria, popolosissimo comune dell’hinterland partenopeo. Titolare della societa’ e’ Fedele Ragosta, originario di San Giuseppe Vesuviano e in pochi anni capace di dar vita ad un vero e proprio impero di mattoni e sigle. La scorsa primavera dalla procura di Nola e’ partito un maxi sequestro di molti suoi beni, radunati in quattro aree strategiche: Ragosta Industries, Ragosta Real Estate, Ragosta Hotel Collection (cinque stelle a Taormina, nella costiera amalfitana, a Roma nell’ex sede direzionale Atac) e Ragosta Food. Ma non e’ nuovo alle aule giudiziarie: un rapporto di Legambiente del 1995 lo descrive come vero e proprio ras (raggiunto da due ordinanze di custodia cautelare) dei trasporti di monnezza verso discariche abusive, lungo tutta la dorsale appenninica, epicentri Campania, Lazio e Toscana (attraverso Ecolas, Agosider, Transider e Sidervesuviana).
    Nella avveniristica Torre Europa aveva sede IGS (Intelligence Group Service), nata da una costola della IES Sistemi di sicurezza e Telecomunicazioni, colosso dell’intercettazione privata con sede a Milano e riconducibile a Vittorio Bosone. E sara’ proprio Bosone a dichiarare ai magistrati meneghini (poi ritrattera’ il tutto) che indagano sugli sporchi e milionari business delle intercetazioni, che e’ «la camorra a riciclare i suoi profitti nella IGS e ad avere cosi’, in caso di bisogno, un canale privilegiato per accedere a informazioni riservate».
    E a Torre Europa hanno sede non solo svariati uffici comunali – personale e avvocatura tra gli altri – ma e’ acquartierata anche la Holding Servizi, incaricata di gestire tutto il patrimonio comunale per la cifra annua di 172 mila euro. Neo “Direttore Generale Manager” – cosi’ viene etichettato – e’ un grande amico di Moscherini, l’avvocato Massimo Felice Lombardi, gia’ al vertice della Palermo Ambiente spa che ha inghiottito milioni di euro per ridurre il capoluogo siciliano al disastro-monnezza. Lombardi sbarca a Civitavecchia appena dopo l’elezione del sindaco (novembre 2007) e subito sale in sella a Etruria Servizi e ETM, la prima dedita soprattutto ai rifiuti, la seconda ai trasporti (ma e’ al collasso, indagata dalla Corte dei Conti), con un appannaggio annuo complessivo da 140 mila euro. Non basta: arriva anche la poltrona di presidente del consorzio per l’area industriale, cui segue la ciliegina sulla torta, Holding Servizi.

    * * * * *

    BIOMASSE CON CIANCIMINO
    Non solo porti, cementifici e centrali elettriche tra Civitavecchia, Tarquinia e Montalto di Castro. Fa capolino, tra i tanti progetti in cantiere, anche quello di una centrale a biomasse («l’energia del futuro», secondo parecchi esperti), localizzazione prevista “Formicone”, piccola frazione tra Tuscania e Tarquinia. A “generare” l’idea e’ la Tuscania Bioenergia (poi trasformata in Bioenergia e Ambiente), amministrata da Valerio Bitetto, ingegnere, ex dirigente Enel, massone, ma soprattutto arrestato e condannato per concussione nella Mani pulite milanese del ‘92: era infatti il collettore craxiano delle mazzette Enel. Bitetto e’ anche titolare del 60 per cento di azioni della societa’ di progettazioni Tecnoplan, il cui 40 per cento fa capo a Sirco spa.
    Andiamo a vedere cosa e’ custodito nello scrigno azionario di quest’ultima, Sirco. Soci sono Giorgio Ghiron, Massimo Ciancimino e l’avvocato Giovanni Lapis. Tutti condannati dal tribunale di Palermo, in primo grado, a 5 anni e 8 mesi per riciclaggio di danaro proveniente proprio dal “tesoro” dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (10 anni invece la condanna per un altro imputato di concorso esterno in attivita’ mafiosa, Romano Tronci).
    Secondo informazioni raccolte all’ufficio tecnico del comune di Tarquinia, a firmare il progetto della centrale a biomasse sono ben tre sigle: le gia’ viste Tecnoplan e Sirco, cui si aggiunge Fingas. Palermitane le ultime due, stesso indirizzo, a quanto pare partorite sotto la stessa ala paterna, Vito Ciancimino: le azioni delle due societa’ sono state sequestrate dal tribunale di Palermo.
    Dove c’e’ chi racconta una storia. Eccola. «Giovanni Lapis ha partecipato alla compravendita di un lotto di terreno a Palermo su cui e’ stato costruito illegalmente un palazzo, i cui appartamenti sono stati occupati da Giovanni Brusca, Stefano Bontade e Leoluca Bagarella. Il giudice Paolo Borsellino aveva appena cominciato a occuparsi di questa vicenda. Ma e’ stato fatto saltare in aria cinque giorni dopo con una macchina zeppa di tritolo. L’auto era partita dal garage di quel palazzo». In alcuni servizi, il Fatto Quotidiano ha documentato anche l’interesse del presidente del Senato Renato Schifani per quel palazzone, dove a quanto pare si sarebbe trovato lo studio legale di famiglia.
    Fantasie? Ricostruzioni farlocche? Sara’ – c’e’ da sperarlo a ormai quasi vent’anni da quelle stragi – la magistratura ad accertarlo.
    E c’e’ da augurarsi che la magistratura faccia con serieta’ il suo lavoro a proposito di quattro procedimenti (due penali, competenti le procure di Perugia e Viterbo) e due civili (Perugia e Roma) avviati da 4 soci di Tuscania Bioenergia che hanno tirato in ballo Luigi Daga, vicepresidente della Associazione Antimafia Caponnetto, colpevole – a loro giudizio – di aver inviato una lettera (poi resa pubblica) alla Dda sul “caso biomasse”. In totale, chiedono un risarcimento danni da 1 milione 200 mila euro, non noccioline. La solita citazione-intimidazione sempre piu’ in voga nel nostro paese per puntare un revolver contro chi fa il suo mestiere e denuncia il malaffare. Altra fresca denuncia, sempre contro Daga e la Caponnetto, dal sindaco di Tarquinia, il “progressista” Mauro Mazzola. Il motivo? “Procurato allarme e diffamazione”, per aver osato chiedere informazioni sulla ditta Diana da Casal di Principe – cuore dell’impero dei Casalesi – che sta realizzando un parcheggio nel centro di Tarquinia. Lese maesta’? A. C.

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    LO SBARCO DELLA CRICCA
    Tutte le strade portano a Roma. Ma spesso passano prima per Civitavecchia, come dimostrano svariati percorsi di vita e affari relativi ai personaggi della cricca made in Diego Anemone.
    Partiamo proprio dall’imprenditore tuttofare, gran regista di appalti e mazzette. O meglio dal padre, Dino Anemone, coinvolto nel 2002 nell’operazione “Cobra” – una delle tante portate avanti con alterne fortune da magistratura e forze dell’ordine in tutta l’area – dove faceva gia’ capolino la famiglia gelese dei Rinzivillo, vicina al boss Giuseppe Madonia e al suo referente in doppiopetto, il faccendiere romano Pietro Canale. Cuore delle indagini il Consorzio Centro Italia, interessato ad una sfilza di lavori pubblici, dal carcere di Civitavecchia a una serie di porti (Livorno, Santa Marinella, Fiumicino, Gaeta e, of course, Civitavecchia): ad animare il Consorzio, oltre ad alcune sigle di copertura dei fratelli Antonio e Salvatore Rinzivillo, anche la Anemone Dino, tutti sotto l’ala protettiva del segretario generale del genio civile opere marittime di Roma, Massimo Ceccarelli. Alla fine, more solito, tutto si chiude con un flop: prosciolti e liberi per nuove avventure…
    Altro giro, altra impresa. Eccoci alla Elettrica Leopizzi srl, sul cui ponte di comando siede Marco De Santis, fratello di Fabio, il provveditore alle opere pubbliche finito in galera per Criccopoli (corruzione il capo d’accusa). Una Leopizzi a tutto campo, nel porto di Civitavecchia, capace di aggiudicarsi appalti, con regolarita’, ogni anno: 140 mila euro nel 2003, 180 mila dodici mesi dopo grazie alla magica “somma urgenza”, altri 180 mila nel 2005 per lavori di illuminazione. Nell’azionariato spicca una presenza, quella di una cooperativa a responsabilita’ limitata, Conegliano, che fa capo, guarda caso, agli Anemone.
    Soldi a palate ma “zeru risultati” per una sigla che alcuni anni fa era intenzionata a gestire l’interporto di Civitavecchia, Icpl, con la benedizione di Ercole Incalza, altro protagonista della Cricca story, a capo della struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture, negli anni ‘90 primattore nel maxi business dell’Alta velocita’. Cosi’ descrive Incalza il sindaco di Civitavecchia Moscherini: «un mio grandissimo amico da 25 anni, uno dei piu’ grandi professionisti dei trasporti in questo paese». Un altro big della cricca, Valerio Carducci (gia’ protagonista delle inchieste di Luigi De Magistris a Catanzaro), e’ amico di Moscherini e legatissimo all’assessore al turismo e commercio del comune, Enzo De Francesco, il cui nome fa capolino tra i faldoni di un’inchiesta della procura di Vicenza: su un suo conto corrente sono stati trovati 2 milioni 300 mila euro e agli atti ci sono le parole dell’assessore: «Ah, Carducci, non fatemi parlare…».
    Da una dichiarazione all’altra, ancora via telefono, intercettata e finita nell’inchiesta perugina. L’ennesimo protagonista di cricca story, il presidente di sezione della Corte dei Conti in Campania, Mario Sancetta, a quanto pare suggerisce ad alcuni imprenditori di «puntare sugli appalti per il porto di Civitavecchia».
    E sempre nelle intercettazioni spunta un altro funzionario al ministero delle Infrastrutture, Gianluca Ievolella, grande amico di Moscherini (che lo nomina supervisore dell’urbanistica al comune di Civitavecchia, catapultando nello stesso periodo il fratello, Maurizio Ievolella, al vertice dell’area tecnica dell’Autorita’ portuale). «La macroscopica anomalia sta nel fatto – commentano alcuni – che il genio civile, ovvero Gianluca Ievolella, aveva il compito di controllare e approvare i progetti che l’ufficio tecnico dell’area portuale, ossia Maurizio, presentava: tutto in famiglia!».
    Tra gli interlocutori piu’ assidui di Gianluca c’e’ l’avvocato Edgardo Azzopardi, indagato dagli inquirenti perche’ avrebbe raccolto dal procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, tramite il figlio Camillo, informazioni riservate relative all’inchiesta in corso e poi girate al numero uno dei Lavori pubblici, Angelo Balducci. Ed e’ proprio con la segretaria di Balducci che – intercettato – svariate volte Azzopardi parla di Civitavecchia. Azzopardi pero’ minimizza, sostiene che «alcuni gli chiedevano informazioni circa il possibile commissariamento dell’autorita’ portuale»: fatto sta che a lui fa capo – come sottolineano alcuni operatori economici della zona – una societa’ che «dal 2003 lavora anche con l’Autorita’ portuale di Civitavecchia».
    Ancora. Eccoci all’attuale prefetto de L’Aquila, Giovanna Iurato, indagata dagli inquirenti sempre per Criccopoli, in merito alla vicenda degli appalti per la sicurezza made in Finmeccanica nell’area di Napoli (dove e’ finito nel mirino anche il numero uno del gruppo, Pierfrancesco Guarguaglini). A quanto pare, il nome della Iiurato compare nella lunga “lista Anemone”. Certo e’ che ha in precedenza ricoperto un altro, delicato incarico: quello di commissario straordinario al comune (sciolto) di Civitavecchia.
    Sottolineano alcuni notai della zona: «Forse non e’ proprio un caso che gli atti di compravendita per Scajola e Pittorru, nonche’ quello per l’acquisto di un intero palazzo da parte dei figli dell’ex ministro Lunardi, Martina e Gianluca, siano stati stilati dal notaio Gianluca Napoleone di Civitavecchia e registrati nella locale Agenzia delle Entrate. E forse nemmeno una semplice coincidenza e’ che la fiduciaria milanese Cordusio, titolare dei conti nelle banche lussemburghesi di cui erano beneficiari Balducci e Rinaldi, sia la stessa titolare di 9999 azioni sul totale di 10 mila del capitale sociale della Iniziative Industriali srl, che ha presentato il progetto per la realizzazione di un cementificio nel comune di Tarquinia».
    Un cementificio che tutti, in zona, gia’ battezzano come “il mostro degli Speziali”, visto che i lavori progettuali della vicina centrale di Montalto di Castro sono firmati dalla Cal.Me spa: un piano pressocche’ identico e la societa’ fa capo ai rampolli del senatore pdl Vincenzo Speziali, segretario della commissione Finanze e Tesoro nonche’ grande amico di Marcello Dell’Utri. Il cinquantenne figlio Antonio Speziali – un pallino per l’eolico, gestito con un’altra famiglia calabrese, quella degli Sgromo – e’ fresco di rinvio a giudizio per una vicenda del 2006: e’ accusato con due boss locali (Rocco Anello della famiglia di Filadelfia, nei pressi di Vibo Valentia, e Francesco Iaunazzo, di una ‘ndrina made in Lametia) di «violenza privata aggravata dalla mafiosita’». Vittima un imprenditore del lametino, Salvatore Mazzei: che a quanto pare ha avuto il torto di essersi interessato all’acquisto di un terreno di proprieta’ della Curia. Dovevano forse svettarvi pale eoliche?

  9. CHIARAMENTE NELLA PARTE DELL’ARTICOLO LA TORRE DEI MISTERI TROVIAMO I RAGOSTA.

  10. sempre sul WEB

    Gdf di Napoli sequestra a “Ragosta” 15,5 mln: La Plage tra i profitti di maxi-evasione?

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    L’Hotel La Plage di Taormina tra i profitti di una maxi-evasione fiscale?
    La Guardia di Finanza di Napoli, a seguito di decreto di sequestro emesso dal Gip del Tribunale, ha disposto nelle scorse ore il sequestro di un fondo immobiliare da 15,5 milioni di euro alla “Ragosta Real Estate srl”, società proprietaria di vari alberghi in Italia, tra i quali “La Plage” a Taormina.
    Ecco quanto riportato in un articolo tratto dalle pagine del quotidiano “Il Mattino” di Napoli.
    Quote di un fondo d’investimento immobiliare di proprietà della «Ragosta Real Estate s.r.l.», per un valore di 15,5 milioni di euro, sono state sottoposte a sequestro preventivo dalla guardia di finanza di Napoli, a seguito di indagini nel settore penale tributario. Le Fiamme Gialle hanno accertato un’evasione fiscale per centinaia di milioni di euro.
    Il decreto di sequestro è stato emesso dal gip del Tribunale di Nola (Napoli). La «Ragosta Real Estate s.r.l.» è proprietaria di immobili di prestigio a Roma, in via Volturno e Largo Montemartini, degli hotel Raito e Paradiso, in Costiera Amalfitana e dell’ hotel La Plage di Taormina (Messina).
    Il successo e la penetrazione della «Ragosta Real Estate srl», sui mercati immobiliari del Paese, si è poggiato, nel corso degli anni, sul sistema scoperto dalla guardia di finanza. Il credito d’Iva veniva monetizzato con la compensazione del debito d’imposta totalizzato dalle società operative del gruppo.
    Gli investigatori, attraverso indagini patrimoniali, hanno accertato che il profitto dell’evasione è stato immesso nelle società immobiliari della famiglia per acquistare lussuosi alberghi e immobili su tutto il territorio italiano.
    Il sistema di frode all’Erario è stato condotto attraverso una società del gruppo utilizzata dagli amministratori esclusivamente per costituire crediti Iva inesistenti, per 146 milioni di euro, a fronte di operazioni commerciali, anch’esse inesistenti, per 730 milioni.
    Il sequestro di alcune quote del fondo, per 15,5 milioni di euro, è stato preceduto, nel marzo del 2010, da un altro provvedimento analogo, per 20,6 milioni di euro, di recente confermato dalla Corte di Cassazione.
    Il fondo d’investimento di proprietà della «Ragosta Real Estate srl», riconducibile ai coniugi Fedele Ragosta e Anna Maria Iovino, è titolare di immobili di valore a Roma, e di hotel della Costiera Amalfitana (Raito e Paradiso) e dell’ hotel La Plage di Taormina (Messina).
    Le due tranche poste sotto sequestro dalla Guardia di Finanza – è scritto in una nota del procuratore aggiunto della Repubblica Maria Antonietta Troncone – anche se rilevanti, sono minori rispetto a quelle «effettivamente lucrate dal gruppo, che non è stato possibile aggredire in quanto la normativa di confisca per equivalente è applicabile solo per i reati fiscali commessi dopo il 2008».
    Questa, invece, è la replica della “Ragosta Real Estate Srl”.
    “Il sequestro di quote societarie operato dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli – si legge invece su “Metropolis” – rappresenta un provvedimento cautelare dovuto a un contenzioso interpretativo tra la Procura della Repubblica di Nola (Napoli) e la società in merito al tema delle detrazioni IVA su crediti contestati”: è quanto rende noto un comunicato della società “Ragosta Real Estate srl”.
    La Procura di Nola, ritenendo assimilabile la detrazione Iva alla compensazione Iva – equiparazione che l’Agenzia delle Entrate (con circolare 13/E dell’11.3.2011) e la stampa specializzata tributaria hanno stabilito erronea per la manifesta differenza tra i due istituti – ha predisposto di conseguenza la sanzione di natura penale in questione (sequestro per equivalente).
    La Ragosta Real Estate srl, che ritiene “pienamente legittima la detrazione Iva operata per gli anni d’imposta 2009″ (che comportò analogo provvedimento di sequestro cautelare) e 2010 (che ha comportato il sequestro di 15,5 milioni di euro), contesta da più di un anno questa interpretazione giuridica della Procura di Nola auspicando, al tempo stesso, “un intervento normativo chiarificatore sulla questione, così come anche richiesto a più riprese da autorevoli opinionisti”.
    La Ragosta Real Estate srl informa, inoltre, che “la richiesta di sequestro è pervenuta all’ufficio del GIP, che ha predisposto il provvedimento cautelare, in data anteriore alla divulgazione della circolare 13/E dell’Agenzia delle Entrate, circolare che asserisce in maniera chiara ed inequivocabile la distinzione tra l’istituto della detrazione Iva e della compensazione Iva, così come sostenuto dalla società”.
    Per tanto, è di tutta evidenza che “l’ufficio del GIP non ha potuto tener conto di questa fondamentale e dirimente circolare dell’Agenzia delle Entrate per decidere in merito al contenzioso interpretativo”. “Confermando la piena fiducia nell’attività della magistratura”, la Ragosta Real Estate srl precisa che “la nascita e lo sviluppo della società a livello nazionale prescinde dalle somme oggetto del contenzioso fiscale in atto, poggiandosi, invece, su capitali di origine familiare, sul supporto di numerosi istituti bancari e su un costante lavoro di ricerca delle più interessanti opportunità d’investimento nel settore immobiliare”.
    La società afferma che “il sequestro penale ha riguardato solo le quote del fondo d’investimento proprietario degli alberghi, e si rileva altresì che il provvedimento non investe altre società, comprese quelle di gestione alberghiera, che stanno proseguendo serenamente nella loro attività quotidiana”.

  11. ALBERGHI E AFFARI, L’ANTIMAFIA INDAGA SUGLI HOTEL DELLA COSTIERA AMALFITANA

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    Amalfi
    Da Amalfi a Positano fino a Ravello. Le procure della Repubblica di Napoli e di Salerno – direzioni distrettuali antimafia – hanno aperto due inchieste sui movimenti economici dietro le operazioni immobiliari tese ad acquisire i più noti alberghi della costiera amalfitana: da Vietri sul Mare a Positano in costiera amalfitana.

    Due indagini parallele ma per nulla distanti: l’ultimo capitolo che sarebbe stato aperto è sul gruppo Ragosta, titolare tra l’altro dell’hotel Raito oltre che di aziende nel settore immobiliare, al centro poche settimane fa di un sequestro ordinato dal gip del tribunale di Nola dopo l’indagine della procura vesuviana su una maxievasione fiscale che avrebbe finanziato un fondo immobiliare in Lussemburgo.

    Ma le indagini non si fermanoal gruppo Ragosta: da qui potrebbero approdare ad altre operazioni immobiliari e, sempre nel settore turistico, ad Amalfi, Ravello e Positano.
    Siamo ai primi giorni di giugno del 2008 e nei saloni dell’hotel Raito è in corso il banchetto del matrimonio, poco prima celebrato a Casal di Principe, di Carmine Schiavone, figlio di Francesco detto Sandokan uno dei capi del clan dei Casalesi, e Floriana Diana, figlia di un imprenditore di Casale. Ma all’improvviso il sontuoso banchetto (menù raffinato dal costo di 175 euro a persona) viene interrotto da un blitz della Squadra Mobile di Caserta e di Salerno. I poliziotti chiedono a tutti di pazientare per l’improvvisa irruzione e procedono all’identificazione di più di 200 persone, tra i quali molti pregiudicati legati al clan dei Casalesi. Tutti gli invitati furono «schedati» e controllati. Il ricevimento del matrimonio ebbe una sospensione ma poi proseguì senza ulteriori intoppi. Gli investigatori sembra che fossero alla caccia di un latitante che, dalle prime scarne informazioni, sembrava avesse deciso di rendere onore al pranzo di nozze della coppia Schiavone-Diana nella cornice inimitabile della costiera amalfitana.
    Quel che è certo, scrive Antonio Manzo su Il Mattino di oggi, è che ci sono due indagini parallele ma per nulla distanti: le procure antimafia di Napoli e di Salerno hanno aperto due fascicoli d’indagine sui movimenti finanziari che si celano dietro le operazioni immobiliari e gli shopping di alberghi in Costiera amalfitana, da Vietri sul Mare a Positano. L’ultimo capitolo che sarebbe stato aperto è sul gruppo Ragosta, titolare tra l’altro dell’hotel Raito oltre che di aziende nel settore immobiliare, al centro poche settimane fa di un sequestro ordinato dal gip del tribunale di Nola dopo l’indagine della procura vesuviana su una maxievasione fiscale che avrebbe finanziato un fondo immobiliare in Lussemburgo dal quale sono stati poi attinti i soldi per lo shopping alberghiero e immobiliare. Gli investigatori della Finanza e gli inquirenti dell’Antimafia vogliono conoscere le radici di un impero economico che solo recentemente è stato oggetto di una verifica fiscale sulla maxievasione fiscale. Ma le indagini non si fermano al gruppo Ragosta: da qui potrebbero approdare ad altre operazioni immobiliari e, sempre nel settore turistico, ad Amalfi, Ravello e Positano. Il gruppo immobiliare che fa capo a Fedele Ragosta, imprenditore di San Giuseppe Vesuviano, una holding che nel giro di quindici anni ha aggregato interessi ed attività per un giro di affari che sfiora i 250 milioni di euro, è al vaglio degli investigatori e degli inquirenti dell’Antimafia. La Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli indaga. Così come la Dda salernitana, indagine, complessa ed articolata che ha proprio nello shopping di alberghi, compiuto negli ultimi cinque anni, sulla costiera amalfitana da parte di gruppi imprenditoriali Ai magistrati antimafia di Napoli e Salerno arriva anche dalla Sardegna un capitolo investigativo sul gruppo di Fedele Ragosta. Proprio la Corte dei Conti sarda sta indagando su un presunto danno erariale di svariati milioni di euro sulla «cittadella della pubblica amministrazione», un patrimonio immobiliare che un tempo apparteneva ad Angelo Atzori, ex parlamentare dc tesserato con la P2 di Licio Gelli e successivamente finito nelle mani dell’Inpdap, ente previdenziale. Il complesso immobiliare fu messo in vendita come patrimonio pubblico per ridare ossigeno alle casse dello Stato. Siamo alla fine del 2003 e la Fingest Real Estate srl acquista tre delle «sei torri». L’acquisto dei tre immobili alla periferia di Oristano risale al 18 marzo del 2004, ma la società era nata solo il 20 novembre dell’anno prima. Nella Fingest Real Estate srl il 70% del capitale era nelle mani di Anna Maria Iovino, 42 anni di Ottaviano, mentre il 30% era detenuto dal marito Fedele Ragosta, 41 anni, di San Giuseppe Vesuviano amministratore unico di altre due società del gruppo: la Immobilgest srl e la Ragosta Real Estate srl. L’indagine delle procure antimafia di Napoli e Salerno avrebbero beneficiatio recentemente dell’operazione delle Fiamme Gialle che ha scoperto di come attraverso una maxioperazione di trucco fiscale – che la società decisamente respinge – sia stato possibile finanziare un fondo immobiliare in Lussemburdo dal quale sono stati poi attinti i fondi per acquistare gli alberghi in costiera, a Roma e a Taormina (hotel La Plage di Taormina e l’hotel Raito e Paradiso di Vietri sul Mare). Nel settore turistico da alcuni anni, infatti, sarebbero stati coltivati affari per un riciclaggio del danaro sporco, spesso frutto delle attivitàeconomico-criminali legate al mondo degli appalti pubblici come del settore dei rifiuti. L’indagine antimafia è per ora coperta dal più stretto riserbo. Non si sa se ci sono già i primi indagati con la classica contestazione del riciclaggio per evitare il sequestro di beni. Sono comunque già al lavoro i consulenti finanziari delle due procure così come gli ufficiali dlele Fiamme Gialle da qualche anno impegnati costantemente sulle radiografice dei patrimoni immobiliari
    È da una indagine su una maxifrode fiscale che la Guardia di Finanza entra nei conti di Fedele Ragosta. Si tratta di danaro – sostengono gli investigatori del nucleo di polizia tributaria della Fiamme Gialle di Napoli — trasferito su un fondo di investimento immobiliare e poi utilizzato per acquistare lussuosi alberghi ed immobili di pregio in Costiera Amalfitana, a Roma e Taormina. Il fondo immobiliare, da alcune settimane, è sotto sequestro, su provvvedimento del gip del tribunale di Nola che ha accolto al richiesta del procuratore della Repubblica Paolo Mancuso. Sono quote di un fondo di investimento per un valore di 20milioni e 600mila euro di proprietà di Fedele Ragosta e della moglie Anna Maria Iovino che detiene le quote per l’intera proprietà degli alberghi Hotel Raito ed Hotel Paradiso di Vietri sul Mare oltre che dell’Hotel La Plage di Taormina e di un immobile in via Volturno (alle spalle di via Veneto) a Roma. L’escalation economico finanziaria del gruppo Ragosta – il vesuviano arrivato a Salerno con l’obiettivo di monopolizzare gli alberghi della Costiera – ha ora subìto uno stop. Il sequestro delle quote del fondo immobiliare, finanziato con il danaro che gli investigatori della Guardia di Finanza ritengono frutto di una maxifrode fiscale, è arrivato dopo circa due anni di indagini del comando provinciale delle Fiamme Gialle di Napoli (colonnello Fabio Massimo Mendella) e di quello di Salerno del colonnello comandante Angelo Matassa e del tenente colonnello Francesco Mazzotta. La misura cautelare del sequestro preventivo fa seguito all’accertamento di una rilevante evasione dell’Iva da parte di società del Gruppo Ragosta, un boom economico finanziario partito negli anni Novanta nel settore dei rifiuti, poi approdato alla produzione e commercializzazione di metalli ferrosi fino ad innervarsi nel mercato immobiliare italiano. Il complesso sistema di frode faceva ricorso a crediti Iva inesistenti per 146 milioni, sorti a fronte di operazioni commerciali fittizie pari a 730 milioni. I falsi crediti Iva venivano poi compensati con il debito d’imposta sorto in capo alle società. Il fondo di investimento sequestrato sarebbe dotato -secondo gli inquirenti della Procura di Nola – «di risorse di ben maggiore entità» rispetto ai venti milioni di euro posti sotto sequestro. Ma gli investigatori e gli inquirenti sarebbero solo all’inizio dello screening sul patrimonio economico finanziario del gruppo di Fedele Ragosta, originario di San Giuseppe Vesuviano coinvolto, ma poi assolto, in un processo di ecomafie presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Nel giro di quindici anni Ragosta ha costituito una holding per un giro di affari che sfiora i 250 milioni di euro. Ragosta acquistò all’asta fallimentare l’hotel Raito, fino a quei giorni di proprietà del noto personaggio salernitano Peppino Palma. Inutilmente quest’ultimo, anche per conto della mgolei Annamaria Giordano, avrebbe tentato all’epoca di far valere le sue ragioni ma sensa esisot positivo. Poi fu la stessa annamaria Giordano a firmare un esposto alla magistratura con l’accusa di presunte zone d’ombra nela procedura di accertamento della massa debitoria. Denunzia che tuttora è all’attenzione dei magistrati napoletan
    Il Mattino di Napoli inserisce Michele Pappacoda

  12. La FIOM-CGIL Regionale, in merito alla vertenza RER di Pozzilli, è venuta a conoscenza in data 21 novembre 2011, del fallimento della società con sede operativa a Pozzilli e sede legale a Napoli. Con provvedimento del Tribunale di Napoli numero 346/11 del 16/11/2011, si è nominato il curatore fallimentare il Dott. Cesiano Davide di Napoli. Si tratta di un ulteriore regalo fatto dalla classe politica regionale ad un altro imprenditore che è stato agevolato nel rilevare la RER, all’epoca della multinazionale appartenente al gruppo ALCOA, per poi chiudere lo stabilimento.
    Si ricorda che nel 2003, al momento dell’acquisizione della RER, l’imprenditore Ragosta licenziò 18 lavoratori e da allora si sono succedute varie vertenze portate avanti dalla FIOM. Nel pomeriggio, nonostante il fallimento in atto, un autocarro si apprestava a caricare materiale sottoposto a procedura fallimentare in corso. Grazie alla vigile attenzione dei lavoratori e della FIOM CGIL si è evitato che il mezzo portasse via il materiale con l’intervento immediato delle Forze dell’Ordine. Alla verifica dei Carabinieri di Filignano e Venafro, risultava che l’automezzo non era autorizzato al prelievo di materiale RER e intimava l’immediato scarico del materiale indebitamente prelevato. La FIOM, con nota del 21 novembre, invitava il curatore fallimentare e le Forze dell’Ordine a vigilare sul sito al fine di evitare appropriazioni indebite di beni

  13. Petraroia: intervento in Consiglio regionale sullo Zuccherificio | Stampa |
    Venerdì 17 Febbraio 2012 11:22
    ” Questo dovrebbe essere l’approccio e su questo anche nella passata legislatura c’è stata una differenziazione. Io ve lo dico perché ho avuto la ventura o la sventura nel corso degli anni passati a dovermi misurare con la camorra che si era presa la Fonderghisa, mi sono ritrovato con tutti gli operai messi in mezzo alla strada, mi sono ritrovato con una macchina che nottetempo si è andata a prendere le carte per far sparire i documenti dei dieci miliardi che avevano avuto e quella macchina è scomparsa lungo il percorso perché la proprietà stava a Napoli, i papà dei Ragosta era stato ammazzato su un marciapiedi di Napoli, ma non ho mai confuso quella proprietà con le centinaia di lavoratori, di famiglie o di soggetti che avevano a che spartire con la Fonderghisa, tant’è vero che ho continuato a difenderli anche nella mia veste di consigliere regionale, ivi compresi quelli della Regione Campania che non avevano accesso alla mobilità in deroga e poi attraverso un lavoro comune e grazie anche alla sensibilità istituzionale della Regione Molise siamo riusciti a dargli una risposta”.

  14. SEMPRE SUL WEB

    dd
    22 novembre 2011 alle ore 15:32
    sulla storia dei fratelli Ragosta ci si potrebbe scrivere un memoriale per lo schifo che hanno fatto alle aziende del nucleo industriale la Fonderghisa prima e la Rer ora…
    un altro grandissimo colpo per il tribolatissimo nucleo industriale di Pozzilli.

    La regione Molise ha anche dato contributi a pioggia a questa gente così come alle altre aziende, ma i veri controlli dove sono?
    L’assessorato alle attività produttive dopo tante situazioni di cui si è venuti a conoscenza in questi ultimi 7-8 anni ha sulla propria coscenza tanti posti di lavoro finiti in fumo… tutti sapevano chi sono i Ragosta di Palma Campania… e dulcis in fundo che si ricordi sempre la paradossale situazione della Geomeccanica… se i dipendenti scrivessero un memoriale di ciò che negli anni hanno visto e vissuto ci sarebbe davvero da rimanere sbalorditi.
    Signori questa è la regione Molise…

  15. Mafie in Molise: “il pericolo è concreto”
    di Paolo De Chiara

    Le mafie in Molise ci sono e fanno affari. Il concetto è stato ribadito con forza a Isernia, durante l’iniziativa pubblica dal titolo “Al di là della Notte”, con la presenza del Procuratore Capo della Repubblica di Isernia Paolo Albano, del magistrato (già Procuratore della Repubblica di Larino) Nicola Magrone, del segretario generale della Fondazione Polis (politiche integrate di… sicurezza per le vittime innocenti di criminalità organizzata e beni confiscati) Enrico Tedesco, del giornalista molisano Michele Mignogna (minacciato di morte, per aver fatto il proprio dovere, da squallidi e vigliacchi soggetti) e del giornalista di Repubblica Raffaele Sardo. Nel capoluogo pentro si è presentata la sua nuova opera, dedicata alle vittime innocenti della criminalità. Proprio Sardo, che conosce bene il territorio molisano, ha ribadito un concetto molto semplice. Che però trova poco spazio nel dibattito regionale. “Voi pensate – ha affermato l’autore del libro “Al di là della notte” – che il clan dei Casalesi ha radici e attività solo nel posto dove è più radicato? Non è così. Loro sono capaci e sono stati capaci negli anni di mettere radici, non solo in Italia, ma in Europa. E non solo il clan dei Casalesi”.

    E in Molise qual è la situazione?
    Secondo l’ex presidente della Commissione Antimafia (oggi Componente della stessa), Giuseppe Lumia, in questa Regione operano da molti anni tre mafie: la camorra, la sacra corona unita e la ‘ndrangheta. In passato in questa Regione sono stati sequestrati diversi beni e attività di proprietà di esponenti della criminalità. Per non parlare dell’Eolico, l’affare del secolo. Per non parlare delle attività che ruotano intorno allo smaltimento dei rifiuti tossici. Basta sfogliare il libro Gomorra di Roberto Saviano per capire cosa è già accaduto. “Grazie all’operazione “Mosca” – si legge a pagina 323 – coordinata dalla Procura della Repubblica di Larino nel 2004, è emerso lo smaltimento illecito di centoventi tonnellate di rifiuti speciali provenienti da industrie metallurgiche e siderurgiche. […]. Quattro ettari di terreno a ridosso del litorale molisano furono coltivati con concime ricavato dai rifiuti delle concerie. Vennero rinvenute nove tonnellate di grano contenenti un’elevatissima concentrazione di cromo. I trafficanti avevano scelto il litorale molisano – nel tratto tra Termoli e Campomarino – per smaltire abusivamente i rifiuti speciali e pericolosi provenienti da diverse aziende del nord Italia”. Basta leggere le inchieste della magistratura. Basta ricordare l’attività dei Ragosta nel nucleo industriale Pozzilli-Venafro. Dove negli altiforni della Fonderghisa arrivavano i carri armati dalla ex Jugoslavia, pieni di uranio impoverito. Gli esempi sono tanti. Troppi. Ma non sono bastati per far risvegliare le coscienze.

    “Queste manifestazioni – ha affermato il Procuratore Paolo Albano – sono fondamentali. Il libro di Sardo è importante per non dimenticare”. Delle mafie e delle loro illecite attività bisogna parlarne. Sempre e in ogni circostanza. Questo è il semplice modo per ostacolare questi criminali. Il silenzio è la loro arma. Non basta delegare il problema alle forze dell’ordine e alla magistratura. I cittadini devono prendere coscienza del pericolo e ribellarsi. Facendo semplicemente il proprio dovere. Un concetto rimarcato con forza da tutti i presenti. E’ passato poco tempo dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari della Procura di Larino sul Porticciolo di Termoli. La questione è passata sotto silenzio. Non ci si interroga più su certi temi. Eppure nelle “carte” della Procura si legge un nome legato alla criminalità organizzata. In questo caso alla camorra. Il primo che compare tra gli indagati è Francesco Moccia.

    Ma chi è questo soggetto?
    “Doverosamente segnalato – si legge – dalla guardia di finanza di Termoli come legato da stretti legami familiari e di affari con Angelo Marrazzo coinvolto in vicende giudiziarie del gruppo camorristico dei Casalesi, capeggiati da Francesco Schiavone, detto Sandokan, collegato a società fortemente indiziate di avere stretti collegamenti con il clan Moccia di Afragola”. A parte il cattivo esempio delle classi dirigenti, nessun eletto tratta questi temi. Perché? Secondo i procuratori Magrone e Albano il problema delle infiltrazioni esiste e deve essere affrontato. La magistratura molisana, ora guidata da un Procuratore con grande esperienza come Armando D’Alterio (il pm che fece luce sull’assassinio del cronista de Il Mattino Giancarlo Siani), sta dalla parte dei cittadini. Ancora non sono bastati gli articoli della giornalista minacciata dalla camorra Rosaria Capacchione. Le sue denunce non hanno fatto scattare quella molla necessaria per affrontare questo problema. Questo grave pericolo.

    “Fortunatamente – secondo Albano – omicidi in Molise non ce ne sono stati. Speriamo che non ce ne saranno in futuro. Ciò non significa assolutamente nulla. Non perché non ci sono gli omicidi non esiste la camorra, non esistono le infiltrazioni criminali. Il pericolo, che da tempo è stato evidenziato anche dal Procuratore Magrone e, recentemente, dal collega D’Alterio della Dda, è assolutamente concreto. Innanzitutto per un fatto geografico. Perché la stretta vicinanza con la Campania, la Puglia e il basso Lazio porta necessariamente questo pericolo. Ma non soltanto per la vicinanza, ma proprio perché un territorio come quello del Molise è appetibile a una criminalità che si vuole inserire. Il punto fondamentale è che la magistratura molisana è pronta a raccogliere questo allarme. Bisogna tenere alta la guardia per impedire che ci siano queste infiltrazioni. Accanto al lavoro delle forze dell’ordine e al lavoro della magistratura è fondamentale che ci sia e si rafforzi la cultura della legalità”.

    http://www.malitalia.it/2011/03/mafie-in-molise-%E2%80%9Cil-pericolo-e-concreto%E2%80%9D/

    politica, inchieste, giustizia, molise 07/03/2011

  16. nfiltrazioni malavitose in Molise, per la DNA il rischio è concreto
    2011-03-10 02:32:53
    Da tempo in Molise si registrano tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata delle regioni limitrofe e, in particolare, esponenti ”qualificati” dei clan si sono mostrati interessati al settore dello smaltimento illecito dei rifiuti, al riciclaggio di denaro in immobili e attività commerciali nelle località della costa e al controllo degli appalti pubblici.

    E’ quanto sostiene la Direzione Nazionale Antimafia nel suo annuale rapporto. Una affermazione che conferma l’allarme lanciato già da tempo da numerosi osservatori che hanno denunciato la presenza della malavita organizzata negli affari molisani. Si tratta soprattutto, secondo le fonti investigative, di clan camorristici soprattutto dell’area del Casertano. La DNA ha anche spiegato come è cambiato in questi anni l’universo della camorra. Il modello organizzativo prescelto dai vari gruppi camorristici che hanno radicamento nei territori campani, è di tipo orizzontale, individuandosi una miriade di centri decisionali in grado di dare forma a strategie criminali più o meno complesse, talvolta proiettate in periodi medio-lunghi, più spesso ancorate al conseguimento di obiettivi immediati.

    La frammentazione dei clan, evidenzia la relazione, “è senz’altro più evidente nell’ambito del territorio metropolitano (che non ricomprende solo il territorio della città di Napoli, ma che si estende ai popolosi comuni che la circondano, costituendone una sostanziale continuazione) ove il contesto sociale -caratterizzato, tra l’altro, da una densità demografica tra le più alte nel mondo- ed il tessuto economico-produttivo (in larga misura polverizzato in una miriade di attività commerciali) favoriscono forme di aggregazione criminale di particolare fluidità, in grado di controllare capillarmente ambiti territoriali, i quali, pur essendo poco estesi, si caratterizzano per un elevato numero di micro-insediamenti produttivi e di micro-attività economiche: è allora evidente che i mercati legali vengono inevitabilmente e progressivamente ad essere condizionati dai metodi di tipo mafioso propri di tali sodalizi criminali”.

    Ma le più recenti investigazioni dimostrano che anche “la tradizionale solidità delle organizzazioni camorristiche nate lontano dall’area metropolitana (ove è più decisamente sviluppata la grande distribuzione di prodotti agricoli ed industriali o dove sono più frequenti gli interventi di speculazione edilizia e comunque in territori nei quali è più intenso il condizionamento degli apparati politico-amministrativi) è destinata a confondersi in un continuo fenomeno di scissione interno ad esse, alimentato dall’indebolimento delle tradizionali leadership, oggi forse meno in grado di svolgere una funzione aggregante in seno a tali organismi criminali”.

    Il business delle ecomafie è indubbiamente quello che, per i recenti fatti accaduti in Molise, potrebbe rappresentare in pericolo più grande per il nostro territorio. Ma la recente operazione della DIA a Venafro, dove è stato effettuato un blitz in una piccola banca nella quale vi sarebbero conti correnti milionari intestati ad anziani prestanome riconducibili a esponenti della malavita campana, riportano al centro dell’attenzione il rischio delle infiltrazioni nel tessuto economico, con l’acquisizione di attività imprenditoriali ed economiche da parte di clan criminali. L’operazione effettuata a Venafro, che avrebbe consentito di scoprire conti sospetti intestati ad un ultraottantenne, in particolare conduce ad una famiglia che opera nella vicina città di Cassino e che sarebbe legata al clan camorristico dei Casalesi oltre che in affari con la banda della Magliana. Il basso Lazio, con la zona pontina e l’area di Cassino, è ritenuto da tempo territorio in via di colonizzazione da parte della camorra casertana. La lingua di MOlise occidentale, che ha come riferimento Venafro, si trova stretta proprio tra la Terra di Lavoro e il basso Lazio e rappresenta una delle aree più vulnerabili. Negli anni scorsi fece scalpore l’acquisto, da parte di esponenti della famiglia Ragosta di Napoli, di due aziende nel Nucleo di Pozzilli. L’allarme lanciato dalla Direzione Nazionale Antimafia, dunque, fa chiarezza sulla potenzialità del rischio di infiltrazioni.

  17. Adesso che le ho inviato parte del materiale reperibile da tutti sul web che cosa intende fare?

  18. Mentre io costruisco l’articolo nel modo più
    corretto, intanto, Lei potrebbe inviarmi anche altro.

  19. Leggo ora la sua risposta, la invito a riprendere personalmente sul web il materiale, ma le segnalo anche due trasmissioni televisive PRESA DIRETTA RAI 3 e poi anche RAI 1 sulla cartolarizzazione e l’acquisto da parte dei RAGOSTA di un immobile INPDAP piuttosto complicata, e RAI TRE sugli investimenti, i fallimenti ed il traffico rifiuti in Molise, i video sono su YOU TUBE.
    Paolo DE CHIARA ottimo giornalista ha un blog zeppo di materiale.
    Buon lavoro.

  20. REPORT 06/11/2011 – La grande evasione – “Svendita pubblica”
    http://www.youtube.com
    ‎6 novembre 2011 Report – Tornano di moda le dismissioni degli immobili pubblici. Come è andata finora e quali sono stati gli effetti collaterali per lo stato..

  21. DIRITTO DI CRONACA (9-12-2011). – LAVORO – Intervista esclusiva a Paolo PASSARELLI.
    Pubblicato il17 gennaio 2012 0

    LA TESTIMONIANZA.
    Intervista esclusiva a Paolo PASSARELLI (già sindaco di Pozzilli), oggi dirigente del Consorzio Nucleo Industriale Isernia-Venafro, con due FUORI ONDA. (“E’ la politica regionale che controlla il Nucleo…”.).
    Dai Rifiuti Tossici della Sim alla presenza della Dia (Distretto Investigativo Antimafia), dalla famiglia Ragosta agli intrecci con la politica…
    Ad oggi nel Nucleo Industriale si sono persi 1.000 posti di lavoro: di chi sono le responsabilità? Degli Imprenditori? Della politica regionale?
    durata: .. minuti, .. secondi

  22. Scorie in Molise ecco la terra “avvelenata”
    I residenti: abbiamo visto passare quei camion carichi di ecoballe
    4 novembre 2010 – Rosaria Capacchione
    Fonte: Il Mattino
    Campobasso. Forse è stato davvero un corto circuito, come scrive il prefetto Trotta. Forse è stata una circostanza fortuita, un accidente e non un attentato, a distruggere i due camion che trasportano pezzi di torri eoliche da una parte all’altra del Molise. Ma loro non ci credono, non ci hanno mai creduto, sin dalla notte di San Gaetano, quando la rete fu avvertita dagli ambientalisti di Guardiaregia e le fiamme si levarono alte, illuminando a giorno la valle del Tammaro. Lo ripetono nel piazzale che ospita il Tar, a Campobasso, mentre aspettano che si decida sull’installazione di sedici «mulini» proprio a ridosso dell’area archeologica di Sepino e di Pietrabbondante, un unicum sannitico-romano pressoché integro, che risale al IV secolo avanti Cristo: «È stato un attentato, altro che corto circuito. Lo sanno tutti che vogliono mandare via quella ditta, che la vogliono spaventare. Chi li vuole spaventare? Quelli che vengono da fuori, dalla Campania». Ci sono studenti e sindacalisti, i comunisti del Plc e i rappresentanti del Pd. E poi: professoresse, casalinghe, impiegate, la punta avanzata del picchetto che sta presidiando gli scavi dalla fine del mese di settembre. Tra di loro c’è chi ha visto i camion arrivare nell’area industriale di Pozzilli-Venafro, chi gli automezzi giallo-rossi della ditta Caturano disperdersi tra la Trignina e la Bifernina, chi le luci alte attraversare la notte e la discarica di Tufo Colonoco, sequestrata dalla Procura di Isernia alla metà di luglio: 12.300 metri quadri di sversamenti abusivi di percolato e di sbancamenti fuorilegge. Una donna giura di aver visto gli automezzi che trasportano ecoballe e rifiuti entrare nell’area industriale di Pozzilli, aggirarsi tra la Colacem e la Fonderghisa, uscire vuoti. Un altro ha assistito all’ingresso dei mezzi della maddalonese ditta Caturano nell’impianto di depurazione di Termoli, nonostante la laconica smentita del Consorzio Industriale che gestisce Cosib: «Caturano non è tra i nostri committenti». Carta canta, ma perché quei camion dai colori inconfondibili varcano i cancelli? E cosa trasportano davvero? Se lo chiedono Michele Petraroia, consigliere regionale del Pd, e Tiziano Di Clemente, coordinatore del Plc, che pagherebbe chissà cosa per conoscere i segreti – tutti i segreti – di Fonderghisa, azienda della Gepi rilevata dall’imprenditore di San Giuseppe Vesuviano Giuseppe Ragosta, arrestato per una truffa collegata proprio a quello stabilimento (dismesso nel 2005) nel dicembre del 2008. Nelle fonderie, racconta chi ha lavorato agli altiforni, sono sparite tonnellate e tonnellate di rifiuti di ogni genere. Anche di automezzi militari impiegati nella ex Jugoslavia, contaminati dall’uranio impoverito. Aspettano una decisione che non arriva ma che si preannuncia negativa, raccolgono le ultime notizie da Montagano e dal presidio permanente che si è posto l’obiettivo di fermare l’ampliamento dell’invaso e di bloccare per sempre la costruzione di un inceneritore. «Un altro? E a che serve? Qui in Molise – dicono le donne che aderiscono alle 97 associazioni della rete ambientalista – ne funzionano già troppi, noi produciamo un decimo dei rifiuti che già oggi possono essere smaltiti nella nostra regione. La verità è che la politica sta svendendo il nostro territorio. In cambio di soldi, con la scusa delle casse vuote dei Comuni, la Regione sta spalancando le porte all’immondizia che arriva da ogni parte d’Italia. Lo sapete quanta roba viene dalla Campania? Lo sapete quanta ne inceneriscono in provincia di Isernia?». Anche il sindaco di Montagano è con loro, così come il sindaco di Termoli vuole impedire l’accesso ai camion stranieri verso i cancelli del Cosib. Ma il braccio di ferro con la giunta regionale si preannuncia lungo e snervante. Loro, i molisani, non sono d’accordo. Hanno già raccolto 2.300 frime, altre ancora ne raccoglieranno. E si preparano alla grande manifestazione del 23 novembre, quando dalle mura di Altilia partiranno a bordo dei trattori e arriveranno fino a Campobasso: per dire no ai rifiuti di fuori regione, no alle ecomafie, no alle infiltrazioni della camorra e ai troppi soldi che girano, girano, e che in Molise non si fermano. In quali tasche vanno a finire?

  23. Altro che due facce: il sindaco che lei ben conosce ne ha una sola è pro-fonderia. Se avesse partecipato al dibattito di questa sera avrebbe visto e ascoltato : c’è stata una presentatrice o moderatrice, anche se non sembra che il comune abbia una p.r. che seduta al banco degli intervenienti ha aperto la seduta chiarendo da subito che era una grande opportunità di occupazione per i giovani e che lei parlava da giovane in cerca di lavoro, era seduta a fianco al sindaco e parlava per lui, poi il primo cittadino ha preso la parola, il contenuto era più o meno identico, poi c’era il gruppo Ragosta in grande numero ed in aula uno stuolo di giovani che a quanto pare avrebbero avuto già qualche promessa.

  24. Qualcosa cui non avevo mai pensato… grazie per il contributo.