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ALIFE – Caso Don Ovidio, il Vescovo tenta di giustificare le proprie scelte. Ma i documenti parlano chiaro e lo smentiscono. Ecco gli atti

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ALIFE – Il caso Don Ovidio scuote la diocesi. Il Vescovo tenta una difesa ma non argomenta le proprie decisioni. I fedeli hanno diritto di conoscere le reali  ragioni che hanno spinto Valentino Di Cerbo ad allontanare il prete colombiano. Il clima di sospetto e l’insinuazione del dubbio non giova a nessuno, soprattutto non dovrebbe essere utilizzato da chi rappresenta la Chiesa. Ci sono alcuni documenti (vedi foto) che però pesano come un macigno sull’intera vicenda e spostano, almeno per ora, la bilancia, tutta dalla parte del prete allontano. Ci sono poi alcune decisioni, assunte da Di Cerbo – come la chiusura della chiesa di Totari – che somigliano più ad un atto di guerra che ad un’autentica azione cristiana. Fare chiarezza per il Vescovo, mai come in questo caso, diventa un atto di fede cristiana, un dovere verso i fedeli. La protesta dei fedeli, irritati soprattutto dalla scarsa “diplomazia” dello stesso prelato più che dall’allontanamento del prete incomincia a produrre i suoi frutti.

Perché un Vescovo rinnova un contratto di collaborazione pastorale internazionale per tre anni e invece, qualche mese dopo, decide di “espellere” il prete che pochi mesi prima, al contrario, aveva osannato?

Lo scorso gennaio Don Alfonso Caso scrive all’ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le chiese e afferma: “….. I Rev.di Sacerdoti Gregorio Alberto Urrego Afvarez e Jesus Ovidio Del Rio Arboleda già da diversi anni offrono il loro servizio pastorale alla nostra Diocesi con zelo, disponibilità ed in comunione sia con il Vescovo che con il Presbiterio diocesano, dimostrando di saper lavorare sinergicamente e senza creare problemi di alcun genere. Sono, tra l’altro, perfettamente inseriti nelle comunità parrocchiali loro affidate, garantendo buona affidabilità pastorale…… ”.

Pochi giorni dopo, esattamente il primo febbraio 2014 il Vescovo Valentino Di Cerbo, proprio in virtù delle belle cose scritte in favore di Don Ovidio, rinnova per altri tre anni l’accordo di convenzione con il parroco colombiano (vedi documento in alto).

A questo punto è doveroso da parte del Vescovo spiegare le eventuali ragioni che lo hanno spinto ad “esonerare” il parroco. Ogni altra parola appare superflua e capace solo di alimentare ulteriori polemiche che non giovano alla chiesa stessa.

LE RAGIONE DEL VESCOVO:
“La Diocesi di Alife-Caiazzo, piccola di numeri, ma ricca di storia, si trova ad essere colpita ancora una volta nelle sue cose più care: la comunione tra il Vescovo e i presbiteri, i presbiteri e il popolo di Dio.
Duole vedere una raffigurazione della nostra realtà contraddistinta da un numero progressivo di bugie e mezze verità che fanno una falsità enorme.
Il nostro Vescovo, Mons. Valentino Di Cerbo, che da quattro anni e mezzo guida la nostra Diocesi, sin dal suo arrivo ha cercato con tutte le sue forze di mettere ordine in una situazione difficile da tanti punti di vista: una amministrazione economica non sempre chiara; una scollatura tra le comunità delle antiche diocesi di Alife e di Caiazzo; la presenza di un gruppo di sacerdoti non originari della nostra terra, non sempre vicini alla sua tradizione socio-culturale; molteplici situazioni di abbandono di beni e di parrocchie, considerate marginali; non ultimo, un affievolirsi del senso autentico della fede a scapito di derive liturgiche, devozionistiche, qualunquistiche e sostanzialmente non elevanti, ma assecondanti tante forme di immaturità umana e religiosa. Il lavoro pastorale non sempre è stato compreso, dovendo inevitabilmente cozzare con forme feudali di gestione delle parrocchie ed anche della cosa pubblica. Avendo messo il “il dito nella piaga” molti piccoli potentati, dentro e fuori la Chiesa, che vivevano di rendita presso il popolino, si sono e si stanno rivoltando per impedire quel cambiamento che Papa Francesco ci sta chiedendo.
Di conseguenza, con una sottile strategia, che trova una singolare alleanza tra le forze conservatrici dentro e fuori la Chiesa, si tenta di impedire quel processo di ri-ordinamento necessario alla crescita della nostra comunità. Ogni occasione è buona per gettare fango su chi non specula, non scende a patto con il potente di turno, non si accontenta del “si è sempre fatto così!”, non teme anche l’incomprensione se si tratta di fare giustizia, di promuovere il bene, di aiutare i poveri. Naturalmente vi possono essere sfumature di stile e momenti anche di dinamica relazionale, ma tutto questo è del tutto naturale in una logica di confronto sincero, mentre non è cristiano nella utilizzazione dei mezzi della comunicazione sociale (giornali e blog) assalire e screditare con uno stillicidio continuo, vile e anonimo, chi va avanti in mezzo a tante difficoltà e problemi.
Pertanto noi rifiutiamo gli attacchi delle forze della restaurazione, i nostalgici del tempo che fu, che ha dilapidato il nostro patrimonio, indebolito le risorse sane, perpetrato una pastorale del “volemose bene” che non cambia niente, ma accontenta e a volte sollecita le inclinazioni più grevi e volgari, ma tanto gradite, a chi si ferma all’apparenza e non va ad approfondire le motivazioni delle scelte, anche dure ed impopolari. Le nostre parole non vogliono essere di offesa per nessuno, ma vogliono richiamarci alla misura e al rispetto del ruolo e delle funzioni di ciascuno, all’amore per la verità, al rispetto di tutti, autorità e semplici uomini e donne. Il Vescovo, in modo signorile, non ha voluto mettere in piazza le ragioni serie di molti provvedimenti, e non ha infierito su attacchi assolutamente gratuiti (come quello sulla necessità di evitare sfarzi nei matrimoni e di contribuire ai bisogni delle comunità, soprattutto quelle in prima linea con l’aiuto ai più deboli); o quello di rispondere alle accuse di chi parla di “benefattore” per persone che hanno ricevuto tanto dalla diocesi e non sono stati del tutto trasparenti nella gestione dei beni della comunità, nel modo di presentare la figura del sacerdote, nella relazione sana con i propri fedeli.
Rispettando la buona fede di chi non sa, chiediamo, a nostra volta, rispetto per chi sa e deve prendere decisioni, anche severe, per il bene di tutti. Quando l’emozione e il ribellismo si saranno placati e chi non vede i sacrifici di tanti preti che “tirano la carretta” senza piazzate e senza show sarà ritornato alle sue occupazioni, allora, a mente fredda – così dovrebbe essere per uomini di raziocinio e cristiani – emergerà con chiarezza che la nostra Diocesi non è come è stata dipinta e noi, allora, come sempre saremo disponibili, Vescovo, clero e popolo, a ricominciare da capo a fare sul serio, nella fedeltà semplice, silenziosa e fattiva a Dio e all’uomo. Perché a Lui (e non alle effervescenze di colore) dobbiamo rendere conto!

 

 

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