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PIEDIMONTE MATESE / CAPRIATI A VOLTURNO – Clinica degli orrori, indagati due matesini. Ci sarebbe anche anche una morte “nascosta”

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PIEIDMONTE MATESE /CAPRIATI A VOLTURNO  – Fra le trenta persone indagate per lo scandalo della clinica degli orrori, ci sarebbero anche due matesini: Maria Ascione di Piedimonte Matese e Fortuna Valentino di Capriati a Volturno.Le accuse per tutti – in particolar modo fra coloro che sono finiti in carcere, compreso il sindaco di Montaquila, titolare dell’azienda – sono pesantissime.  L’ordinanza del gip si sofferma, infatti, sulla vicenda di un’anziana affetta da una grave patologia psichica. J.S. Nell’aprile scorso la donna muore, secondo la diagnosi dei sanitari della struttura, per setticemia. A causarla, l’uso eccessivo di un catetere, non controllato a dovere. Ma ai familiari della donna verrà fatto detto, su esplìcita indicazione di Rossi, di un arresto cardiaco. Quando il titolare riceve una telefonata da un’infermiera in merito alle spiegazioni da dare ai parenti dell’anziana deceduta, impartisce infatti la seguente direttiva: “Dici che ha avuto l’arresto cardiaco, quando ieri l’abbiamo curata l’abbiamo presa e l’abbiamo mandata in ospedale, capito?”. “Quindi – risponde la donna – arresto cardiaco dico io?”. “Sì -aggiunge Rossi – improvviso”. Poco dopo il medico riceve un’altra telefonata in cui una seconda infermiera chiede ancora chiarimenti su cosa riferire ai familiari di J.S. “Allora parlarti’ e non ci capimm’… ha avuto l’arresto cardiaco, poi abbiamo cercato di rianimarla ma non s’è ripresa bene, e poi a ‘na certa ora l’abbiamo trasferita in ospedale”. Una vicenda, come si vede, tutta da chiarire.
Rinchiusi a chiave anche per 20 ore al giorno; legati ai letti; abbandonati a se stessi dopo essere stati sedati per evitarne le proteste: costretti a vivere in ambienti sporchi e degradati. Così vivevano i pazienti assistiti nella clinica, dove vigeva un “sistema organizzativo voluto”, orchestrato attraverso specifiche direttive che prevedevano la segregazione e il “contenimento” dei malati. Era questo, secondo il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Isernia. Elena Quaranta, il sistema Rossi’ Una logica aziendale che mirava, secondo il gip, “evidentemente a ridurre i costi di gestione, trascurando e mortificando i bisogni reali degli assistiti e la loro dignità”. Il ‘deus ex machina’, insomma, sarebbe stato lui: Franco Rossi, nel suo triplice ruolo di sindaco, medico e titolare della struttura. Una figura, quella del principale indagato, che secondo gli inquirenti non si sarebbe affatto limitata soltanto a consentire l’applicazione di certi metodi di assistenza. Ma che tale ‘sistema’ – tranne per l’episodio delle docce dei pazienti, nudi e in promiscuità, che non viene contestato al titolare di Villa Flora – lo avrebbe addirittura organizzato, esercitando il proprio potere direttivo e disciplinare e occupandosi anche della gestione dei ricoverati. L’assistenza dei quali, secondo il gip. era imperniata nel privarli della propria libertà personale Rossi, insomma, non avrebbe potuto non sapere le condizioni in cui vivevano gli ospiti della casa di riposo. Anzi, sulle porte delle stanze, chiuse o aperte all’occorrenza, era egli stesso a decidere e a dare disposizioni ai dipendenti.

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