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PIETRAMELARA – Guerra del Gas, la denuncia di Maurillo due giorni dopo l’omicidio Cantile

Pietramelara – L’omicidio di Giuseppe Cantile – ritenuto il referente dei Casalesi nell’Alto Casertano – ha, probabilmente,  destabilizzato un “sistema”, ha annullato delle “certezze”. L’omicidio dello scorso gennaio, avvenuto a Baia e Latina, è maturato per i motivi che sono stati accertati dagli inquirenti e dalla confessione dell’omicida. Non si è trattato quindi di una guerra fra clan; tuttavia la morte di una figura di riferimento ha fatto saltare gli equilibri. Dopo quell’omicidio Leopoldo Mauriello ha presentato la denuncia, risultata poi decisiva per gli arresti dell’altro giorno.

Leopoldo Mauriello, insieme ad altre persone, venne arrestato, circa un anno fa, proprio insieme a Cantile, con l’accusa di minacciare e intimidire la concorrenza della zona. Due le imprese maggiormente colpite: una di Pietramelara stessa, l’altra di Dragoni. Volevano costringere, in estrema sintesi, quelle imprese a “liberare” il mercato.  Per questi fatti l’indagine è stata chiusa  e si attende quindi la decisione del Pubblico Ministero. Saranno i giudici, probabilmente, a chiarire definitivamente questa vicenda, nella quale i Mauriello si ritengono vittima di un complotto, stabilendo da che parte sta la verità.

La storia:  Il 12 gennaio scorso ai carabinieri di Capua si presenta l’imprenditore  di Pietramelara. Due giorni prima a Baia Latina era stato ucciso Giuseppe Cantile, ritenuto il capozona dei Casalesi per l’alto Casertano; i suoi assassini era stati già arrestati. Quella denuncia presentata da Mauriello a gennaio scorso ha portato all’arresto di cinque  indagati  per una tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso. I cinque, secondo la Dda, avrebbe agito per conto della fazione dei Casalesi riconducibile al boss Michele Zagaria. I fatti contestati sono stati commessi a partire dal 2013 e fino agli inizi di questo anno. A finire in manette sono stati l’imprenditore di Casagiove, Tommaso Nuzzo, attivo nel settore della distribuzione di gas e carburanti suo figlio Pasquale Nuzzo, e sua moglie Anna Annunziata, l’unica a finire agli arresti domiciliari. Arrestati anche Francesco Sparago ed Attilio Pellegrino, ritenuto dagli investigatori l’attuale reggente del gruppo Zagaria.

L’attività investigativa, coordinata dalla Direzione Distrettuale della Procura di Napoli, ha consentito di individuare alcune azioni portate a termine dai cinque che, secondo i magistrati, in concorso tra di loro, avrebbero compiuto “atti idonei a procurarsi un ingiusto profitto di circa 42mila euro”, corrispettivo non pagato alla vittima a fronte di una fornitura di gas effettuata a beneficio della società di fatto conducibile ai Nuzzo nonché ad indurre la vittima stessa ad accettare l’estinzione del debito mediante la restituzione di un quantitativo di gas del valore commerciale molto inferiore al dovuto (circa 9mila euro).
Tommaso Nuzzo ed il figlio Pasquale, temendo di aver commesso un errore nel chiedere a tante persone di accusare falsamente il suo creditore avrebbero tentato di alterare la raccolta di elementi di prova a loro carico. Per questo Pasquale Nuzzo si sarebbe presentato al comando dei carabinieri di Pietramelara per presentare una denuncia. Il giovane ha raccontato ai militari che l’imprenditore di Pietramelara si era appropriato della cisterna di proprietà della Nuzzo Trasporti e che il padre, recatosi presso il deposito di Pietramelara, era stato minacciato con una pistola nel tentativo di costringerlo a farsi saldare il debito. Mauriello avrebbe, quindi, trattenuto la cisterna senza restituirla al casagiovese. Nuzzo, infatti, impaurito dopo essere stato minacciato, sarebbe scappato con la motrice. Secondo quanto riferito nella denuncia, Pasquale Nuzzo si sarebbe recato presso un’agenzia pratiche auto di Casagiove per denunciare la perdita di possesso del semirimorchio. Qualche giorno dopo, Nuzzo sarebbe stato contattato dalla stessa agenzia che l’avrebbe informato che l’imprenditore di Pietramelara aveva telefonato per chiedere informazioni sullo stato della pratica relativa all’atto di vendita del semirimorchio. Nella circostanza, l’agenzia avrebbe constatato che l’atto era falso e che era stato stipulato in un giorno non lavorativo. Per questo motivo, avrebbe provveduto a denunciare il fatto all’autorità giudiziaria. Secondo la Procura questa ricostruzione dei fatti sarebbe stata ideata per sviare le indagini.
Tommaso Nuzzo avrebbe deciso di sbarazzarsi del creditore organizzando un finto agguato. Secondo quanto contenuto nell’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli XXII sezione, dottore Pietro Carola, l’imprenditore di Casagiove avrebbe escogitato un piano per liberarsi del titolare della ditta di Pietramelara. Coinvolgerlo, a suo insaputa, in un finto tentato omicidio ai danni di un altro operatore del settore. Nuzzo avrebbe avvicinato per primo un altro imprenditore del settore del gas riferendogli che il ‘collega’ di Pietramelara gli aveva fatto una ‘scortesia’, ovvero, che si era preso un semirimorchio e per questo voleva ‘cautelarsi’. In particolare aveva architettato di fingere un agguato nei suoi confronti, mediante esplosione di colpi d’arma da fuoco verso la sua auto. Il piano prevedeva di coinvolgere falsi testimoni per che riferissero che l’autore dell’agguato era il suo creditore. Lo stesso Nuzzo avrebbe rassicurato il suo interlocutore sostenendo che avrebbe provveduto lui a fornire un’auto di colore grigio, danneggiata da colpi d’arma da fuoco. Nessuna delle persone contattate da Nuzzo, però, avrebbero dato la propria disponibilità a simulare il finto agguato. Alla fine, quindi, l’imprenditore di Casagiove avrebbe deciso di soprassedere e avrebbe sostenuto con il suo interlocutore di essere intenzionato a chiudere il debito, con il rilascio di quattro assegni a scadenza, a firma della moglie. La presunta vittima del piano di Nuzzo sarebbe venuta a conoscenza delle intenzioni dell’uomo di metterlo nei guai dalla stessa persona contattata per fare da esca. L’imprenditore di Pietramelara ha portato agli inquirenti la prova della sua tesi una serie di registrazioni delle telefonate ricevute che attesterebbero la sua versione.
Le minacce – “Ho un’imbasciata per conto di Casapesenna, se non ci restituisci il semirimorchio entro due giorni ci mettiamo una bomba sotto sia al nostro che a quello sul piazzale”. Sarebbe stata questa la frase proferita, il 21 gennaio scorso, secondo i magistrati dalla Dda da alcuni degli indagati, arrestati ieri dai carabinieri di Capua. Secondo la ricostruzione dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Pasquale Nuzzo ed Anna Annunziata, rispettivamente figlio e moglie di Tommaso Nuzzo, si sarebbero presentati, insieme a Francesco Sparago, al cospetto dell’imprenditore vittima dell’estorsione. A fronte del rifiuto opposto dall’operatore economico di Pietramelara alla proposta di Anna Annunziata di considerare estinto il debito di 42mila euro, attraverso il pagamento di una fornitura di gas di soli 9mila. La frase finita all’interno delle 39 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare sarebbe stata proferita da Sparago. Al momento della minaccia, però, i militari erano già sulle tracce del gruppo tanto che quella stessa mattinata procedevano alla perquisizione dell’Audi Q3 di uno degli indagati. Il giorno dopo nell’azienda di Pietramelara giungeva una persona che aveva appuntamento con il titolare proprio per parlargli dell’affare della cisterna di Nuzzo. Durante l’incontro, la cui registrazione è finita al vaglio dei carabinieri, l’interlocutore si rivolge all’imprenditore dicendo che Nuzzo gli stava preparando un tranello.

Il tentativo di Cantile Un contesto, quello dell’indagine molto delicato, al punto che l’imprenditore vittima della presunta richiesta estorsiva si reca a denunciare la vicenda dai carabinieri due giorni dopo l’omicidio di Giuseppe Cantile, avvenuto a Baia e Latina. Lo stesso Giuseppe Cantile che il 19 dicembre si sarebbe presentato nel deposito dell’imprenditore ufficialmente per consegnargli un panettone natalizio. In realtà anche per parlare della controversa vicenda della cisterna, poi divenuta oggetto di indagini. Il mezzo entrato in possesso dell’imprenditore di Pietramelara sarebbe appartenuto ad un elemento di spicco del clan di Michele Zagaria. Anche questo è nero su bianco nell’ordinanza del tribunale di Napoli che ieri ha portato in carcere Tommaso Nuzzo e suo figlio Pasquale. Sarebbe stato lo stesso imprenditore casagiovese a rivelarlo. Quel mezzo, che secondo la Procura di Napoli sarebbe stato dato in garanzia, sarebbe stato di proprietà, in base a quanto si legge negli atti di indagine di “un soggetto sottoposto al regime speciale detentivo, di cui all’art. 41 bis”. Il semirimorchio che l’imprenditore di Pietramelara avrebbe ricevuto dal casagiovese e che sarebbe poi stato trasferito in un deposito nel Napoletano, sarebbe stato dato in noleggio a Nuzzo, il quale corrispondeva mensilmente un canone di locazione. Il personaggio in questione sarebbe Michele Fontana, soprannominato Michele ‘o sceriffo. Questo quanto si dice in un’intercettazione telefonica: “Il rimorchio è di Michele ’o sceriff, tiene il 41 bus…i rimorchi sono i suoi, lui gli da i soldi a fine mese me l’ha detto lui ed io gli ho detto: non voglio sapere niente, dobbiamo solo chiudere questa cosa in bellezza, per non uscire sopra al giornale”. Sarebbe stato meglio, dunque, chiudere la questione quanto prima. L’imprenditore di Pietramelara, tuttavia, non si sarebbe lasciato intimidire e avrebbe ribadito che si trattava di una questione commerciale da risolvere con il pagamento della somma pattuita oppure con il passaggio di proprietà di quel mezzo. Sarà proprio lui poi a rivolgersi alle forze dell’ordine per chiedere aiuto nell’uscire da una situazione che stava assumendo connotati piuttosto preoccupanti.

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