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BENEVENTO – Fragneto Monforte, così bruciano diecimila ecoballe: evacuati i residenti. E’ disastro ambientale

BENEVENTO — In tre giorni il rogo ha distrutto i rifiuti stoccati. Famiglie allontanate, il sindaco: incendio appiccato dalla camorra.  C’è stato un tempo in cui, a Fragneto Monforte, a levarsi verso il cielo erano solo le mongolfiere, che da 26 anni fanno di questo paese di 1.880 abitanti una capitale internazionale del «volo con il pallone». Poi, però, ad alzarsi sono state le fiamme. E allora le foto di volti sorridenti su uno sfondo azzurro hanno lasciato il posto a quelle di visi coperti da mascherine con il fumo a fare da contorno. Bruciano le ecoballe, in provincia di Benevento. Era già accaduto tre volte. È successo ancora. E questa volta l’incendio dura ormai da oltre tre giorni. Chissà, forse sarà per questo che il sito scelto nel 2004 per stoccare le ecoballe lo chiamano Toppa infuocata. Ché gli abitanti, al suo bruciare, ci sono abituati. Solo che stavolta non è come al solito. «Hanno dato fuoco a una piazzola particolare», spiega Raffaele Caputo, 56 anni, sindaco dall’otto giugno del 2009. Scene già viste, «ma questa volta il problema è che le fiamme sono divampate accanto a un dirupo, motivo per il quale l’area interessata è pressoché impossibile da raggiungere e le forze di spegnimento non possono intervenire». Non potendo arrivarci dal basso, ci hanno provato dall’alto: «Un elicottero del Corpo forestale dello Stato ha scaricato una quantità d’acqua impressionante, ma interventi di questo tipo servono solo ad abbattere le fiamme. Che, poco dopo, riprendono forza». Il sito ospita 60.000 ecoballe, la piazzola in questione 10.000, «praticamente quasi tutte interessate dal fuoco» dice il prefetto di Benevento. Ed è per questo che l’incendio dura ormai da più di 72 ore, sprigionando «fumi tossici» che ieri hanno indotto il sindaco a firmare un’ordinanza per l’evacuazione di cinque nuclei familiari. L’allarme, però, tiene in ansia anche i cittadini di Torrecuso, Ponte, Casalduni, Guardia Sanframondi, Cerreto Sannita. E — avverte lo stesso Caputo — presto la minaccia potrebbe diventare ancor più seria: «I venti stanno cambiando direzione, e con loro i fumi che si stanno avvicinando alle porte di Benevento».

LA SABBIA – La soluzione? «Sotterrare i rifiuti con sabbia o una colata di cemento liquido, così come era stato garantito in una recente riunione tecnica». Quell’intervento, accusa però il sindaco, è tardato ad arrivare, nonostante una riunione convocata d’urgenza ieri dal prefetto di Benevento. «Dicono che non ci sono soldi», rivela Caputo. Norme alla mano, teoricamente potrebbe anche agire d’imperio, «ma è una responsabilità incredibile, perché il sito è stato posto sotto sequestro dal tribunale di Napoli». Doveva essere anche protetto con un «servizio di vigilanza» promesso subito dopo il sopralluogo del ministro Nunzia De Girolamo, ma di quell’iniziativa — accusa ancora Caputo — «non ci sono tracce». Il resto è la cronaca di un primo cittadino che allerta la protezione civile «per chiedere l’ausilio delle forze militari», della rabbia degli abitanti che bloccano la statale Benevento-Campobasso per protestare contro «i mancati interventi», dell’inchiesta dei carabinieri che punta ad accertare le responsabilità. Il sindaco, però, non ha bisogno di attendere l’esito di quelle indagini. «L’incendio è doloso, così come erano dolosi quelli appiccati le altre tre volte». Già, ma chi ha interesse a bruciare quelle ecoballe? «La camorra, e la spiegazione è semplice. Dopo la combustione dovuta alle fiamme, quelli diventano rifiuti speciali. Smaltirli costa molto di più, e per farlo servono ditte specializzate. Aziende che, in molti casi, sono controllate proprio dai clan che vogliono infilarsi in questo affare».

L’AZIONE NOTTURNA – Sarebbero stati dunque questi uomini della camorra, all’1.30 della notte tra sabato e domenica, a dare fuoco alle ecoballe. Colpa dei mancati controlli lamentati dal sindaco? «Assolutamente no», ribatte il prefetto Ennio Blasco. Che inquadra così la dimensione del problema: «Abbiamo istituito sin dal primo incendio un modulo di vigilanza dinamica, ma il luogo da sorvegliare è impervio. È vero che fino ad ora non s’è riuscito a individuare chi ha appiccato l’incendio, ma la zona andrebbe vista di persona. È circondata da una vegetazione fittissima, infiltrarsi è una cosa molto facile». Quel che è difficile, invece, è soffocare le fiamme. «L’impegno di tutti è massimo, i vigili del fuoco sono costretti a lavorare con i respiratori automatici perché l’aria nella zona è pericolosa per la salute, e quei respiratori sono costretti a scambiarseli facendo i turni». E i camion che il sindaco dice di attendere? «È necessario trovare la soluzione giusta, perché all’interno di quelle ecoballe si sono creati camini nei quali il fuoco periodicamente riprende. L’acqua non è sufficiente, il liquido ritardante non si può lanciare perché impedirebbe ai vigili del fuoco di operare. Abbiamo iniziato a usare sabbia bagnata mescolata a una piccolissima quantità di cemento. E, nel frattempo, i vigili del fuoco per tutta la notte sverseranno cumuli di terra sull’area dell’incendio». Una procedura lunghissima, perché «in quell’area può accedere un solo camion per volta».
Resta il timore di cosa accadrà alle altre 50.000 ecoballe risparmiate dalle fiamme, che il sindaco vuole «protette e portate via al più presto». Resta il fumo. Resta la paura degli abitanti ad ogni colpo di tosse. E resta quell’iscrizione anonima sull’albero secolare che rappresenta il simbolo di Fragneto Monforte, e che leggenda vuole fu piantato da un pastore: «(…) Alto crebbe il tiglio e visse altero al caldo, al gelo, saldo et a tempesta». Le fiamme, quelle non erano previste. (corrieredelmezzogiorno)

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