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Piedimonte Matese – Spaccio di droga, condannati due giovani

Piedimonte Matese – Si è concluso il processo di primo grado a carico di due giovani piedimontesi accusati di spaccio di droga. I due erano caduti nella rete dei carabinieri della Compagnia di Piedimonte Matese lo scorso mese di febbraio 2022 quando vennero arrestati insieme ad altre sei persone, tutte dell’area del Matese.
Cristian Sapone – 33enne di Piedimonte Matese – è stato condannato alla pena di 6 anni e 11 mesi di reclusione oltre al pagamento di una sanzione di 30.000 euro.
Cira Cancelmo  (detta Cinzia) – 29enne di Piedimonte Matese – è stata condannata alla pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione oltre al pagamento di una sanzione di 5.000 euro.
Sono stati riconosciuti colpevoli dal giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del delitto di detenzione a fini di spaccio e cessione di sostanze stupefacenti, del tipo marijuana, hashish, cocaina e crack.
Oltre ai due imputati recentemente condannati – attraverso un processo svoltosi con rito ordinario – la vicenda coinvolte altre sei persone: Pasquale Juonir Cancelmo, Salvatore Pone, Nella stessa ordinanza sono finiti altri quattro indagati: Monica Nasti e di tre suoi figli Livia Di Lillo, Vincenzo Di Lillo e Sara Di Lillo. Questi imputati hanno scelto di essere processati con rito abbreviato e la loro posizione è ancora al vaglio dei giudici.
Il processo di primo grado appena concluso a carico di Sapone e Cancelmo parte  da una complessa e articolata attività di indagine condotta dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Piedimonte, che consentì di far emergere l’operatività di una piazza di spaccio presso il rione IACP frazione di Sepicciano di Piedimonte Matese, gestita da alcuni residenti, tutti originari del comune matesino. L’indagine, iniziata nell’agosto 2019 a seguito di una mirata e pervicace attività di controllo del territorio e protrattasi sino a dicembre 2021, consentì di ricostruire il modus operandi degli indagati e di individuare il loro canale di approvvigionamento. I soggetti nei cui confronti sono emersi gravi indizi delle condotte di spaccio, che dovranno essere verificati nel corso del giudizio, erano tutti percettori di reddito di cittadinanza ed investivano, per lo più, i proventi dell’attività delittuosa ed i sostegni economici elargiti dallo Stato per l’acquisto delle sostanze stupefacenti  che rivendevano  generalmente  all’interno  delle proprie  abitazioni, divenute punto di riferimento di numerosi assuntori provenienti da tutta la zona dell’alto casertano. Attraverso attività di intercettazione telefonica, escussione degli acquirenti, servizi di osservazione, controllo e pedinamento nonché sequestri di stupefacente, è emerso che il contesto ambientale era ritenuto dagli indagati e dagli acquirenti luogo protetto ed impermeabile alle investigazioni, e consentiva loro di agire con estrema spregiudicatezza anche nel periodo in cui vigevano le più restrittive norme sulla libera circolazione. Nel corso del primo lockdown, infatti, le       vendite al dettaglio proseguivano con ritmi incalzanti.  Nella maggior parte dei casi, gli acquirenti si recavano anche più volte al giorno senza preavvertire presso le abitazioni degli indagati essendo certi di poter trovare la sostanza stupefacente. In altre circostanze, nel tentativo di eludere le investigazioni utilizzavano un linguaggio convenzionale come ad esempio “pane cotto o pane crudo”, “zucchero”, “panettoni”, “piccolo o grande”, “sacchi di colla”, “filoni di pane”, “cioccolata”, “piantine rampicanti”, “pacchi di battiscopa”, “latte” ed altro ancora.

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