Castello Matese – La Corte di Cassazione ha bocciato il ricorso presentato dall’ex sindaco Antonio Montone, attuale consigliere di maggioranza nel parlamentino del piccolo centro collocato nel centro del Matese (versante Casertano). Montone, quindi, per effetto della legge Severino dovrà lasciare il consiglio comunale per decadenza. In tal senso i consiglieri di minoranza hanno già interpellato il Prefetto di Caserta, affinché intervenga per imporre il rispetto della legge.
La complessiva vicenda processuale parte da un’originaria imputazione di associazione per delinquere, costituita da Montone unitamente ad altri coimputati, al fine di commettere una pluralità di reati, circa 200, tutti singolarmente contestati, di falso, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, favoreggiamento, ed altri reati contro la pubblica amministrazione e in materia edilizia e ambientale; tutti commessi dal 2002 al 2007.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la sentenza del 4 giugno 2019, all’esito di una lunga e complessa istruttoria dibattimentale, dopo aver dichiarato la prescrizione di numerosi capi d’imputazione e l’insussistenza del fatto per altri, ha confermato la responsabilità degli odierni ricorrenti, in relazione ai residui reati loro rispettivamente ascritti e li ha condannati alle pene ritenute di giustizia.
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza oggi impugnata (del 23 luglio 2020), in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, ha dichiarato la prescrizione di molte delle residue imputazioni, ma ha confermato, per quel rileva in questa sede, la condanna nei confronti di Carlo Fiorillo, Patrizia Loffreda e Mario Cefarelli, per il solo reato di falso contestato al capo 33 della rubrica (relativo ad un’ipotizzata falsa attesta zione di presenza contenuta all’interno di un verbale di riunione della commissione edilizia integrata) e nei confronti di Antonio Montone per i reati, anch’essi di falso, contestati ai capi 2 e 194 (limitatamente ad alcune condotte) e al capo 195 (relativi, il primo, ad alcune false annotazioni effettuate sul registro di protocollo, e gli altri due ad ipotizzate falsificazioni di ricevute di accettazione di alcune raccomandate (modelli 22R).
Montone si è difeso puntando su cinque motivi d’impugnazione, deducendo l’omessa valutazione delle doglianze formulate nella memoria rimessa alla corte d’appello all’udienza del 23 luglio 2020 e conseguente contraddittorietà e illogicità della motivazione; l’inutilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese dall’originario coimputato, Federico Gianfrancesco (separatamente giudicato), in occasione dell’applicazione della misura cautelare, sulle quali i giudici di merito avrebbe in massima parte fondato il giudizio di responsabilità con riferimento al capo 2 della rubrica. Tali dichiarazioni, secondo la difesa, sarebbero state acquisite agli atti del dibattimento sull’erroneo presupposto di un ipotetico consenso prestato dalle difese; consenso che, invece, era sta to prestato esclusiva mente per la rinnovazione dibattimentale conseguente all’avvicendamento dei diversi collegi giudicanti e non avrebbe potuto fondare anche l’acquisizione di dichiarazioni rese da un soggetto che volontariamente si sarebbe sottratto al controesame.
Inoltre, Antonio Montone si è difeso puntando sull’illogicità della motivazione nella parte in cui non si sarebbe dato conto della sostanziale inattendibilità della ricostruzione proposta nelle già richiamate dichiarazioni del Gianfrancesco. In particolare, secondo il tribuna le (alle cui motivazioni si riporta anche la corte d’appello), tutti i protocolli specificamente indicati nel corpo della sentenza sarebbe stati falsamente formati il 16 gennaio 2006, ma già in data antecedente risulterebbero depositate in Provincia le pratiche edilizie con il relativo protocollo (ed il numero corrispondente a quello in ipotesi falsificato in data successiva); con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 476, secondo comma e 479 cod. pen., e conseguente vizio di motivazione, in relazione alla qualifica zione dei reati di cui ai capi d’imputazione 194 e 195. Secondo il ricorrente, la falsificazione sarebbe stata limitata al timbro apposto sulla lettera e nello specifico alla data leggibile sulla busta della raccomandata. Cosicché, non essendo il timbro, in sé, fidefaciente e non essendo il modello relativo dall’attestazione di accettazione della raccomandata, citato nella sentenza, un registro, ma la ricevuta dell’invio della raccomandata, la condotta commessa non sarebbe sussumibile nella fattispecie contestata, ma dovrebbe essere al massimo qualificabile in termini di falsità in certificazione. Tanto emergerebbe con evidenza dal capo 35, nel quale le medesime condotte sarebbero state contestate senza la previsione dell’aggravante del capoverso dell’art. 476. Con il quinto ed ultimo motivo, ancora violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (in relazione all’art. 62 bis cod. pen.) nella parte in cui la corte d’appello non avrebbe riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, omettendo di motivare in ordine alle pur valide argomentazioni esposte nei motivi di appello.
Tutte argomentazioni che la Corte di Cassazione ha ritenuto non credibili tanto da confermare la condanna inflitta in secondo grado a carico dell’ex sindaco di Castello del Matese, Antonio Montone.
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