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ROCCAMONFINA – Interdittiva antimafia, il Tar boccia il ricorso della Segnaletica Petrella

ROCCAMONFINA – Il Tar boccia il ricorso della Segnaletica Petrella S.r.l. I giudici amministrativi di Napoli si sono espressi in merito al ricorso 3819 del 2012 proposto da Segnaletica Petrella Srl contro U.T.G. – Prefettura di Caserta e Ministero dell’Interno e la Comunità Montana Monte Santa Croce. Il ricorrente chiedeva l’annullamento  del provvedimento interdittivo antimafia prot. n. 1683/12.b/16ANT/Area1 del 6 agosto 2012 adottato dal Prefetto di Caserta comunicato alla Comunità Montana Monte S. Croce e di tutti gli atti di indagine connessi. La società ricorrente ha impugnato il provvedimento interdittivo antimafia prot. n. 1683/12.b/16ANT/Area1 del 6 agosto 2012 adottato dal Prefetto di Caserta, rilasciato su richiesta della Comunità Montana Monte S. Croce al fine di stipulare un contratto di affidamento della progettazione esecuzione e gestione per il recupero funzionale ed il restauro del complesso “Collegio dei gesuiti”.  Sono stati anche impugnati, con i motivi aggiunti depositati a seguito dell’istruttoria, una serie di atti di indagine alla base dell’informativa prefettizia gravata.  La parte ricorrente denuncia l’illegittimità dei riferiti atti deducendo motivi di violazione di legge e di eccesso di potere (presupposto erroneo, travisamento dei fatti, sviamento di potere, violazione del giusto procedimento, motivazione errata, perplessità, contraddittorietà, illogicità, atipicità dell’atto, falsità della causa). Resiste in giudizio l’amministrazione degli interni, che conclude per la infondatezza del ricorso. Al fine di valutare la consistenza dei motivi di doglianza prospettati con il ricorso originario ed i connessi motivi aggiunti occorre partire da alcune considerazioni preliminari in merito alla interdittiva antimafia oggetto del presente giudizio. Alla luce di orientamenti ormai consolidati nella giurisprudenza amministrativa, è opinione comune:

– che la misura in questione (cd. interdittiva antimafia “tipica”, prevista dall’art. 4 del d. lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 ed oggi dagli articoli 91 e segg. del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), per la sua natura cautelare e preventiva, non richieda la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste;

– che dunque ciò che deve essere provato non è la intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza;

– che l’insieme degli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri;

– che l’interdittiva non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là della individuazione delle responsabilità penali, cosicché anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi per supportare la misura interdittiva.

Muovendo da tali necessarie premesse, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame l’adozione della misura interdittiva nei confronti della società appellante appare giustificata sulla base degli elementi indiziari richiamati del provvedimento del Prefetto.

La ricorrente denuncia la insussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento prefettizio e la carenza della relativa istruttoria.

Poiché il ricorso introduttivo è stato proposto prima ancora che la ricorrente potesse conoscere il contenuto degli atti istruttori, la cui ostensione è avvenuta soltanto in giudizio, le censure sono sviluppate e precisate nel ricorso per motivi aggiunti, dove specificamente è contestata la concludenza degli elementi raccolti a carico della società.  In particolare la informativa si è basata su una nota del Nucleo di polizia tributaria della GdF di Caserta dell’11 febbraio 2012, in cui è evidenziato che l’impresa ricorrente è significativamente connessa con le società riferibili a P. Raffaele, società già colpite da provvedimenti interdittivi, confermati in sede giurisdizionali (cfr., ex aliis, Tar Napoli, I, n. 5788 del 2011, confermata in appello da C.d.S., III, n. 4664 del 2012). In questa sede, sul conto di tale ultimo soggetto, vale appena richiamare le decisioni menzionate, le quali hanno scrutinato una serie di circostanze che, nel loro complesso, hanno fatto ragionevolmente ritenere possibile agli organi preposti che l’attività della ditta appellante potesse, anche in maniera indiretta, essere condizionata dalla contiguità con la criminalità organizzata. Ed allora la legittimità della valutazione dell’odierno ricorrente discende dalla razionalità dell’inferenza relativa a cointeressenze economiche fra i due soggetti, tali da far sospettare che il condizionamento mafioso possa estendersi entro il più ampio raggio perimetrato dai collegamenti societari.  In questa prospettiva è stato conferito decisivo rilievo alla detenzione, da parte della Segnaletica Petrella, di una quota del capitale della IBIS, società appartenente al suddetto Raffaele P. e di cui il Petrella Ferdinando è consigliere. Ancora, la società ricorrente è socia del consorzio Arché (anch’esso destinatario di interdittiva confermata in sede giurisdizionale dal Tar Lecce n. 3151 del 2009 e dal C.d.S. n. 4707 del 2010), nella quale Petrella Antonio Pasquale, amministratore della società odierna ricorrente è consigliere e Raffaele P. è titolare di ditta individuale consorziata con una quota di partecipazione del 26%, nonché Vice Presidente del consiglio direttivo con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione del Consorzio. Infine rileva un’ulteriore partecipazione della società ricorrente con il consorzio Arché nella società di progetto Edificio Polifunzionale di Lecce s.r.l. di cui amministratore unico è Petrella Ferdinando. Il quadro indiziario appare idoneo ad evidenziare la sussistenza almeno di un pericolo di condizionamento di organizzazioni criminale all’interno della logica dell’impresa sottoposta a scrutinio.  Ed invero non solo i titolari della società ricorrente condividono la gestione operativa di società strettamente collegate con il patrimonio societario di Raffaele P, ma l’intreccio plurimo fra le varie società costituisce elemento atto a dimostrare una cointeressenza economica fra le stesse. In questo pesante quadro indiziario emerso a carico di Raffaele P, ritenuto proprio il centro decisionale di una holding societaria estesa e capillare, è suscettibile di ripercuotersi negativamente sulla posizione della ricorrente, legittimando il giudizio di una contaminazione, o quanto meno il pericolo di infiltrazione.  In conclusione, non può sottacersi che l’ordinaria conformazione delle imprese operante nel settore e nell’ambito geografico di riferimento ha contribuito ad irrobustire gli elementi di sospetto nei confronti della società ricorrente, i quali possono ritenersi idonei a dare conto del tentativo di infiltrazione in quanto emerge l’inequivoca possibilità dell’organizzazione criminosa di condizionare le scelte e gli indirizzi sociali. Il ricorso, quindi, unitamente ai motivi aggiunti, deve essere respinto, mentre sussistono peraltro giusti motivi, in relazione alla peculiarità della controversia ed alla delicatezza delle questioni, per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e sui connessi motivi aggiunti, li respinge. Spese compensate.

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