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CASERTA – L’economia rurale casertana stritolata dalla Comunità Europea.

CASERTA – L’economia rurale casertana stritolata dalla Comunità Europea. Dei 121 paesi italiani a forte vocazione  turistica, storica, pastorale e rurale, come quelli recanti i castagneti toscani  e i terrazzamenti liguri, molteplici sono quelli ubicati nell’area  compresa fra la provincia di Caserta e i confini col Molise, a ridosso della catena del Matese, stretti nelle morse degli speciosi vincoli legislativi europei che ne impediscono valorizzazione e rinnovamento. Si tratta di limitazioni stringenti ed improprie che non tengono assolutamente conto delle innumerevoli diversità che caratterizzano la geografia economica, urbana e regionale dei paesi comunitari e che, mentre si rivelano adeguate per città come Oslo, non sono minimamente adattabili a talune realtà economiche contadine come quelle campane.
Difatti, le norme europee succitate impongono senza remore né eccezioni di sorta il trattamento identico di situazioni territoriali. completamente eterogenee e svelano tutti gli esecrabili contenuti pretestuosamente predisposti per simulare la tutela del paesaggio, lasciandone però intatto e inaccessibile il suolo, tanto ad interventi di manutenzione quanto alla fruizione e alla valorizzazione economico produttiva delle inestimabili risorse ivi presenti. La conseguenza immediata di un simile orientamento scellerato e impudente rivela perciò un paradosso siderale e a dir poco drammatico nella misura in cui l’Europa comunitaria “comanda” di lasciare che intere aree rurali, atte a conferire lavoro e apporti efficaci all’economia locale, marciscano senza pietà e, soprattutto, senza alcun ragionevole criterio. All’attuale stato dei fatti nasce spontaneo un quesito raccapricciante e quantomeno destabilizzante: “a che servono le risorse autoctone,i tesori offerti generosamente dalla terra e le bellezze naturali se l’ottusa intransigenza di un organismo come quello comunitario, coeso nel solo aspetto monetario e nella  stolta urgenza della spartizione delle rendite finanziarie che esso produce depravatamente, ne impedisce l’utilizzo virtuoso e proficuo alla collettività intera?” Il nostro patrimonio rurale denota in verità, l’unica risposta concreta e plausibile ai morsi impietosi della crisi economica dilagante e non è minimamente accettabile che degrado ed abbandono ne logorino lo splendore e le prolifiche prospettive di sviluppo per le visioni distorte e sconsiderate di un organismo, quello comunitario, scompaginato, duttile ed incoerente che da anni non ha fatto altro che acuire e amplificare le già gravi contraddizioni economiche esistenti fra il sud e il nord del Vecchio Continente. Se opportunamente valorizzati e recuperati, migliaia di ettari di terra lasciati incolti e abbandonati al loro destino per illusorie pretese paesaggisitiche comunitarie, potrebbero sfamare e dare un’occupazione degna a centinaia di famiglie in difficoltà come accade da 80 anni a questa parte sulle  terre bonificate dell’Agro Pontino. Osteggiare la cecità giuridica comunitaria è, dunque, l’unico  iter che conduce alla sopravvivenza, al recupero della dignità nazionale e innanzitutto al riscatto dalle vessazioni giurisprudenziali della plutocrazia dei potentati. (nando silvestri)

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