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CAIANELLO – Muore giovane militare. Paese in lutto. Forse un’altra vittima dell’uranio impoverito

caianello. La morte di Daniele Nardelli  getta il paese nello sconforto e nel lutto. Aveva appena 30 anni ed era un militare dell’esercito italiano. Diverse le partecipazioni a missioni militari all’estero, una, sembra anche in Kossovo. Da tempo il giovane non stava bene e – secondo alcune voci raccolte in città – accusava sintomi tipici di tanti altri militari esposti alle radiazioni dell’uranio impoverito. Nardelli è morto qualche giorno in un ospedale di Milano. Fra qualche giorno, dopo l’autopsia,il suo corpo dovrebbe rientrare a casa per l’ultimo saluto e la successiva sepoltura nel cimitero di Caianello. Saranno proprio gli esami medico legali a stabilire le esatte cause del decesso del giovane. Intanto in paese c’è dolore ma anche rabbia e l’indice è puntato contro coloro che hanno consentito a tanti militari di esporsi, senza nemmeno saperlo, a gravi rischi per la propria salute. “Ciao Daniele, per colpa di altri non ci sei più. Abbiamo condiviso tutto io e te – scrive Gianluca Laorenza – dal gioco al lavoro. Anche se non ci sari più, per noi sarai sempre vivo. Caianello ha perso un uomo onesto e con l’alto senso del dovere. Ciao, Daniele ti vorre per sempre bene, fratello mio”.  “Nessun legame tra la malattia dei militari e l‘uranio impoverito“. La commissione d’inchiesta del Senato sui casi di morte tra i soldati italiani in relazione anche all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito ha concluso i suo lavori con l’approvazione di una rapporto conclusivo che sarà pubblicato nei prossimi giorni e che è destinato a sollevare altre polemiche. Il presidente Rosario Giorgio Costa (senatore Pdl) ha presentato le conclusioni dell’indagine parlamentare. “Non abbiamo trovato uranio impoverito, non è emersa alcuna correlazione con le patologie. Un militare – dichiara – si ammala così come si può ammalare un civile”.  Al 31 dicembre sono state evase tutte le pratiche di indennizzo relative a militari che si sono ammalati durante il lavoro, ora ne restano 200 che sono state respinte. “Un nostro consulente – ha concluso il presidente – ha esaminato queste pratiche, molte vanno riaperte. Gli interessati, partendo dai lavori della commissione, possono chiedere il giudizio ad un organismo superiore o rivolgersi all’autorità giudiziaria”.

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